SATYASVARA – Storia di un cammino (V)

Il giorno del ritiro giunse. Non avevo mai fatto un’esperienza del genere: cinque giorni di completo silenzio, senza telefono, perdendo la cognizione del tempo, vissuto pregando e meditando, ascoltando il Maestro leggere libri, guardando film e facendo yoga. Contatto fisico e visivo il più possibile assente, per avere la possibilità di entrare con maggior profondità in se stessi. Per cibo solo riso in bianco bollito e mele; da bere, tisane. Questo per disintossicare da una parte il proprio corpo, renderlo pulito e leggero; dall’altra per creare a livello mentale un distacco dal cibo, il quale è da sempre una delle maggiori compensazioni che usiamo ogni qualvolta abbiamo uno stato interiore non sereno e vogliamo fuggire dalle nostre sofferenze.

In questo modo invece, avevamo la possibilità di provare ad entrare dentro di noi per trovare una via d’uscita, anziché cercarla all’esterno. Eppure niente di tutto ciò mi spaventava, a dir la verità. Partii con molta spensieratezza e molta curiosità. Questo ritiro è diverso rispetto agli altri che si svolgono durante l’anno, poiché, all’interno di esso, avremmo realizzato un pellegrinaggio di 26km, della durata di una notte, da Macerata verso la santa casa di Loreto. Un cammino spirituale percorso insieme a tantissime persone provenienti da tutta Italia fatto di canti, preghiere, forza di volontà e amore, in cui abbandonarsi allo sforzo e mettersi alla prova per superare le proprie difficoltà.

Così io e Paolo arrivammo al centro yoga Satyasvara di San Benedetto del Tronto, luogo in cui si svolgono tutti i ritiri oltre che le lezioni giornaliere di yoga. Emozionatissima, mano a mano vidi arrivare tutti i partecipanti di questa nuova avventura: Nicoletta.. Gianmaria.. Mattia.. Michela.. Paola.. Loredana.. Ferdinando.. per Nicoletta, Gianmaria e Mattia, come che per me, era il primo ritiro. Ricordo di aver preso il mio posto in un punto della sala in cui sarei stata solo quel ritiro e ricordo che ero vicina a Nicoletta; Ricordo Michela e Mattia, lei a sinistra e lui a destra della sala, uno di fronte all’altro, nei posti più vicini al tappetino del Maestro; Ricordo Paolo, che regala al Maestro, poco prima dell’inizio del ritiro, un libro di poesie scritte da Matteo, un suo dolce amico morto a trent’anni di tumore; Ricordo il Maestro dire che quel libro sarebbe stato letto durante quei giorni di ritiro.

Ho l’immagine della sala illuminata dal sole di Giugno, che ci augura il buongiorno insieme alla voce del Maestro, il quale comincia a leggere queste parole: “Ho passato secoli a non capirti, ho messo una pietra sul cuore donna, ci ho messo anni a non sentirti, senza accorgermi che iniziavo a non sentirmi neanche io e tu donna sei qui, e provi a salvarmi, salvami tu, salvami adesso, sciogli la mia colpa, liberami dal successo, improvvisamente mi sono accorto di quante donne intorno a me, e quanto amore intorno a me…..”

Questa è solo una parte della prima poesia letta quella prima mattina di quel primo ritiro. E ricordo, come fosse ora, che cominciai a piangere; piansi disperatamente, piansi con il cuore in mano, mentre il Maestro leggeva; piansi quella mattina e tutte le mattine successive, ogni volta che ascoltavo quelle poesie che mi arrivavano dritte all’anima. So per certo che in un altro contesto ciò non sarebbe potuto accadere con la stessa intensità e profondità. Il Maestro, nei giorni precedenti al ritiro e durante lo stesso, crea un campo energetico tale che il nostro cuore spirituale possa essere nelle condizioni migliori per aprirsi e far uscire ciò che solitamente, nella quotidianità, non si riesce ad esprimere. È una situazione vera, senza filtri, senza vie di fuga, senza distrazioni, in cui l’unica cosa che puoi fare è guardarti dentro.

Guardarsi dentro e stare da solo con se stessi, in un modo oramai dimenticato. Conoscersi come forse ci si conosceva solo da bambini, quando le emozioni erano libere, il sorriso ed il pianto sinceri, la voglia di libertà fresca come un fiore appena sbocciato. Una situazione di pace e di calma, lontana dai ritmi della vita quotidiana e piena di quella luce spirituale che abbiamo perso e che in quel contesto invece torna a farsi spazio. Quella fu la prima occasione in cui probabilmente le maschere, per tutti noi, cominciavano a cadere e forse neanche ce ne rendevamo conto.

Il pellegrinaggio fu durissimo, ma non dall’inizio. Partimmo a piedi dal centro yoga per arrivare alla stazione dei treni; tutto ciò continuando a mantenere sempre la regola del silenzio assoluto. Già solo questa fu un’esperienza straordinaria; essere fuori, nel mondo, da osservatore silenzioso, esserci senza distrazioni esterne (la parola, il telefono, il libro), solo esserci, a patto di riuscire a non entrare nella distrazione dei pensieri. Questa era la cosa più difficile ed era la preghiera del cuore ad aiutarmi a ritrovare quel silenzio.

La situazione che trovai a Macerata mi piacque molto e ricordo che mi concentravo per cercare di rimanere presente, osservare ed ascoltare tutto con profondità. Guardavo e accarezzavo il prato, osservavo gli insettini che vivevano la loro vita lì, in mezzo a quei fili d’erba.. Eravamo in uno stadio; un numero enorme di persone partecipa ogni anno a questo evento molto speciale e, prima di incamminarci, mangiammo, ascoltammo canti, testimonianze e celebrammo la Messa.

Partimmo verso le 21 e, fino a Loreto, il pellegrinaggio non mi sembrò così faticoso. Le ore passavano e la notte diventava sempre più scura, camminavamo senza mai fermarci, tutti in fila dietro al Maestro, cercando di non perderci mai di vista. Che avventura questa! In mezzo a un mare di persone riuscire a restare insieme era una prova non indifferente, oltretutto non potendo parlare. Era tutto così surreale… Alle due, il Maestro ci fece fermare per consacrare un giorno intero di digiuno, a partire da quel momento. Ricordo che rimasi molto frastornata da questa notizia, mi sembrava impossibile riuscire a superare una prova del genere! Ma in quel momento non ci pensai molto, presa dal cammino che dovevamo continuare.

Il momento in cui diedero a tutti delle lanterne colorate fu per me l’evento più bello e dolce di quella notte; una fiume di luci che si alzavano verso il cielo, un coro di voci che intonavano un canto così melodioso e angelico da riscaldare i cuori più duri. Iniziai a sentire la vera stanchezza un’ora prima dell’alba, quando il freddo e l’umidità cominciarono a farsi sentire in maniera pungente nelle ossa. Quello è il momento in cui, se non si riesce a lasciarsi andare, i pensieri cominciano ad affollare la testa e il desiderio di arrivare comincia a spingere in maniera martellante. È lì sopratutto che il pellegrinaggio ti pone di fronte a una prova e a dei limiti da superare.

Ma quando cominciò ad albeggiare e la testa cominciava a cantare vittoria……… ecco lì l’ultimo scoglio, che per me fu un vero e proprio iceberg!!! Arrivati finalmente alle pendici di Loreto, ci aspettavano altre due ore di cammino, completamente in salita, per arrivare alla basilica. Fu lì che cominciai veramente a crollare. Non ero pronta per una situazione del genere e così mi feci gran parte dell’ultimo tratto tra pianti disperati, conati di vomito e parole che oramai uscivano dalla mia bocca senza freni, con Paolo affianco che mi sosteneva senza lasciarmi un momento sola. Ricordo molto bene invece Mattia e Michela sfrecciare dietro a Roberto, ed io che mi chiedevo incredula come facessero! Arrivai per ultima, distrutta, sconvolta, scioccata ma felice di essere arrivata alla meta.

Il viaggio non finì qui, perché per tornare alla stazione del treno dovevamo percorrere ancora un chilometro a piedi! Io oramai avevo perso la concentrazione e la presenza della sera prima, ma stavo vivendo delle sensazioni fisiche e interiori mai vissute prima. Prendemmo il treno e scendemmo a Pedaso, dove, con grandissima gioia, potemmo tuffarci tutti in una fresca acqua marina…. che bagno rigenerante fu quello! Non avevo mai apprezzato così tanto i benefici di un bagno nel mare. I piedi e le gambe ripresero forza e le tensioni si sciolsero. Così ci riposammo sotto il caldo di sole delle 10, mi addormentai di sasso e fu bellissimo. Anche in quei momenti però, ricordo che parlammo, poiché l’interiorizzazione si era persa e non ce ne rendevamo minimamente conto.

Così, mentre aspettavamo il treno di ritorno, il Maestro ci fece notare e sopratutto comprendere questo facendoci riportare l’attenzione su noi stessi, sulla presenza e sulla preghiera del cuore, la quale ci riaccompagnò dolcemente verso il centro yoga e verso quegli ultimi, importanti, giorni di ritiro. Questo ritiro fu un’esperienza immensa anche se, mi rendo conto, vissuta inconsapevolmente, perché non mi rendevo veramente conto di tante, tante dinamiche sottili e spirituali. Ma quello che ci lasciò dentro fu tanto e le prove che ci fece superare davvero notevoli e significative per il rafforzamento del nostro carattere e della nostra fede.

Alice