Gelosia ed evoluzione spirituale (I)

04_independence_day_blurayLa parola “geloso” viene dal latino zalosus che corrisponde al greco zelotos il cui significato è rintracciabile in emulo o rivale. La radice proviene dal greco zelos: zelo, emulazione, invidia o gelosia (1). Per i latini e i greci, tra invidia e gelosia non c’era alcuna differenza. Esse infatti sono due facce di una stessa identica medaglia o, meglio, due espressioni diverse di una stessa dinamica interiore.

Il termine invidia è un composto di in negativo più videre quindi non vedere, ovvero non riuscire a vedere. Essendo un moto interiore che spinge dall’esterno all’interno, potremmo definire l’invidia come una sottile forma di affermazione e negazione: obbliga a vedersi e ci pone davanti ciò che neghiamo (qualsiasi cosa che, sul piano materiale – perché l’invidia agisce esclusivamente sul piano essenzialmente materiale e di possesso – ci ricorda il nostro desiderio e il nostro debito). Non vediamo chi ce lo ricorda, in quanto su di esso proiettiamo la nostra “rabbia”, non vediamo noi stessi perché è in corso una proiezione e, infine, sussistendo essa come processo di negazione insito in noi, possiamo dire che non ci vediamo fino al momento in cui proviamo invidia.

Tutto questo pone uno sguardo profondissimo su ciò che continuamente cerchiamo di azzittire: una nostra qualche fonte interiore di infelicità: non essere riusciti a o non essere riusciti in.

L’invidia è tuttavia una benedizione per due motivi. Da una parte pone alla comprensione del superamento di alcuni desideri e ad un salto di consapevolezza, una volta rivolta l’emotività scatenata verso l’unico soggetto che la può risolvere (se stessi) e quindi all’inzio della propria educazione, per quello che riguarda il peso che si è mosso interiormente.2 Dall’altra parte, lo scossone ci invita a rivedere gli obiettivi, ad essere più sinceri e vigili con noi stessi e a vivere più attivamente la vita.

Ora, se l’invidia porta ad un conflitto interno perché un Altro incarna un desiderio frustrato e non posseduto/realizzato, la gelosia si muove in maniera lievemente diversa: il conflitto interiore è di una fase successiva nell’educazione, perché ci si difende da uno straniero, da un Altro che vuole portare via qualcosa che si ha. Tuttavia, dato che la gelosia è un’azione interiore esclusivamente relazionale, tra un essere difensore (zelota) e un invasore aggressore, il geloso non ha paura di perdere qualcosa ma qualcuno che sente di possedere.

Spesso, quando il lavoro su di sé è scarso o completamente assente, la gelosia viene confusa con “la presenza” del partner, con l’attenzione o con una non meglio specificata espressione di amore legata al preoccuparsi di dov’è, cosa fa, cosa pensa ma soprattutto con chi è, la persona che si possiede.3 Quindi se l’invidia si scatena per il ricordo di un bene materiale (o di qualcosa che genera materialità) che non si ha, la gelosia innesca la sua forza nella paura di perdere un essere, un altro, vissuto o degradato a bene materiale.4

Un uomo evoluto o una donna evoluta che vivono il proprio compagno o compagna come anima, quindi una creatura che sta lottando per la propria evoluzione, non possono e non dovrebbero assumersi la responsabilità di bloccare, controllare o possedere un altro essere.

Ogni persona è diversa, ogni essere ha un destino, ogni anima ha un debito.

Ogni coppia ha un livello di consapevolezza e conflitti da risolvere e trascendere portati dal polo femminile e maschile che la formano.

La coppia e l’unione tra i due poli, anche definiti da un vincolo più o meno riconosciuto, sono qualcosa di riscontrabile in ogni civiltà più o meno evoluta e ad ogni latitudine. In questo incontro miracoloso l’individuo deve necessariamente transitare, nel proprio cammino di sviluppo come anima e come essere umano.5

Non esistono coppie, né esseri, senza conflitti. Alcuni sono più leggeri, alcuni risalgono a schemi familiari, altri sono più antichi, altri ancora veri e propri demoni. Essi sono quindi il materiale, il piombo, sul quale la persona e la coppia devono lavorare e cooperare per la propria personale trasformazione. Possiamo riconoscere, in questa difficoltosa evoluzione, tre fasi.

Nella prima fase il polo maschile lotta per il polo femminile. Una volta conquistata la femmina, costruisce per essa una casa, la possiede e da essa ha dei figli. Quindi si occupa di procurare il cibo e difendere il territorio, la casa, la famiglia e la femmina stessa.

In una seconda fase l’equilibrio si rompe. La femmina diventa donna ed esce dal suo ruolo: desidera e ottiene il diritto di procacciare il cibo. Il rischio è che i poli si invertano: il polo femminile diviene maschile e assume su di sè l’esigenza di possedere l’altro. Quando questa seconda fase arriverà a compimento si raggiungerà un equilibrio sano di eguaglianza nella diversità tra i due poli. Il maschio diviene uomo e in questa relazione trasformata regnano amore incondizionato, libertà, accettazione, rispetto e maturità nei ruoli.

La terza fase corrisponde all’Unus Mundus, alla completa realizzazione del sè, dell’alchemico androgino e del passaggio tramite l’amore dell’altro e di sé, all’amore universale. Dunque, superare la gelosia e la propria possessività di se o dell’altro, è necessario per la propria evoluzione su ogni aspetto e su ogni livello. L’evoluzione è inevitabile. Evolvere significa affrontare paure, fantasmi, voltarsi e affrontare lo straniero. E non è un percorso facile. I percorsi per arrivare variano, molto probabilmente, di persona in persona. Per alcuni varrà perdonare, per altri agire, per altri accettare, per altri ancora maturare.

Osserva e controlla se in te si innesca una paura di perdere la presenza dell’Altro o un qualsiasi tipo di controllo. Cerca di amare per ciò che, chi ti è accanto in questo viaggio, è e per ciò che tu sei, senza creare prigioni. Una prigione esige un carcerato e l’unico obbiettivo di un carcerato che ha scontato la sua pena è fuggire dalla prigione. Cercare di incatenare il proprio compagno/a non farà altro che portare eventi nefasti: l’altro/a si dimenerà come può e, alla fine, tradirà (dal pensiero all’atto fisico vero e proprio c’è un ventaglio ampissimo di possibilità, non ultima la pornografia: devastante metodo per autoprivarsi della propria energia creativa e trasformarsi in un autonoma).

Saresti disposto a vivere con il tuo compagno o la tua compagna nonostante lui/lei sia a centinaia o migliaia di chilometri da te, senza sentirsi, per mesi o anni? Saresti disposto a vedere il tuo compagno/a con un altro/a? A queste domande dirette tutti possiamo immaginare l’immediato e inquieto lavorio mentale: quando?, dove?, un altro/a chi?, come?, perché?, perché?, perché? Aiutooo!

Se accettiamo di essere frammenti di un unico amore dobbiamo constatare, per forza, che ciò che pone tali domande, non siamo noi. La situazione critica, come nell’invidia anche per la gelosia, ci pone difronte a noi stessi e a ciò che non riusciamo a vedere.

Non credo si debba arrivare all’estremo per forza ma più si resiste più la vita obbligherà al cambiamento. La coppia aperta, ad esempio, può essere una scelta. Ma essa deve basarsi su un’apertura non indifferente di cuore e su un lavoro su di sé molto profondo perché il rischio della promiscuità è quello, come dice il grande Eckart Tolle, di far rientrare l’ego dalla porta di servizio.

Se stai giudicando, o sono partite le milleuna difese, stai attento. Nulla è obbligatorio. Le strade portano tutte ad unico amore. Nel mio caso, ad esempio, io so che devo solo spingermi sempre più verso una maggiore purezza che mi avvolga e verso un sano amore e perdono nei confronti di me stesso, dato che, in vari modi e per molti anni, mi sono lasciato automaltrattare. Quindi rispetto, comprensione e abnegazione per la meravigliosa compagna che ho accanto.

Io credo quindi che ognuno debba seguire il proprio cuore, il proprio sentire ed essere vigile, sempre. Amando, sinceramente, non può accadere nulla che non sia per la tua evoluzione. Quindi, se è giusto per te, ciò che si dovrà togliere si toglierà, ciò che si dovrà acquisire si acquisirà.

Bisogna quindi essere molto attenti a quel dolore che si permea nell’illusoria identificazione del sé con la mente e con il suo terrore di perdere il controllo: se ciò avviene ci si trasforma nel tappo. Un tappo non può decidere, non sceglie, un tappo ha solo paura di non farcela a trattenere. Un tappo è sofferenza in quanto il suo unico atto è “resistere”. Un tappo ha due vie: subire la paura e la pressione per il resto della sua vita oppure lasciarsi andare.

Lasciati andare, viaggiatore. Ogni cosa ha uno scopo. Uno scopo enorme che va oltre le nostre comprensioni. Siamo più grandi e più piccoli di quello che crediamo.

La gelosia è solo un altro fardello inutile di cui liberarti. Ama, ama senza riserve.

1 http://www.etimo.it/?term=geloso. Interessante è rilevare che una radice simile si trova in zelota, gruppo politico religioso ebraico avverso al dominio romano in Giudea e difensori dell’ortodossia e dell’integralismo ebraici dell’epoca

2 Accusare gli altri delle proprie disgrazie è conseguenza della nostra ignoranza; accusare se stessi significa cominciare a capire; non accusare né sé, né gli altri, questa è vera saggezza.”  (Epitteto)

3 Spesso la persona che riceve “la possessione”, nella sua visione distorta, la esige, ovvero essa pensa che, se tale possessività/gelosia manca, di conseguenza manca l’amore.

4 Non è un caso che il verbo possedere sia un composto di potis (potere) e sidere (sedere), ovvero sedere sopra, essere padrone. Il verbo veniva di fatto usato anche per richiamare l’atto sessuale, cfr “possedere una donna”. Difatti la gelosia è una problematica essenzialmente sessuale e collegata al secondo centro di forza. L’invidia è maggiormente legata al primo centro.

5 “Dunque al desiderio e alla ricerca dell’intero si dà nome amore” (Platone, Simposio, traf. it. F. Ferrari)

Insegnante Yoga GianMaria