Lo sforzo spirituale (I)

Oggi voglio tornare a parlare dello sforzo spirituale, già specificatamente trattato sulle nostre dispense del corso di Yoga. Da queste dispense ho tratto solo alcune parti del materiale di questa conferenza, integrandolo con altro materiale preso da fonti delle più disparate culture e religioni. Infatti in tutte le tradizioni spirituali, anche se con nomi diversi, lo sforzo spirituale è la pratica fondamentale che ogni aspirante compie nel proprio lavoro interiore.

Questa è un ulteriore conferma che lo sforzo spirituale è alla base di tutte le forme di evoluzione dell’anima individuale nel ricongiungimento con l’anima universale di Dio. Ci sono dei casi, nella storia della spiritualità, in cui questa evoluzione, che nel corso della conferenza chiameremo illuminazione, risveglio o liberazione, sembrerebbe essere avvenuta in modo immediato ed inaspettato, senza uno sforzo alla fonte, per esempio la folgorazione di Paolo di Tarso sulla via di Damasco.

Personalmente ritengo che queste manifestazioni della grazia divina, siano avvenute su esseri che in precedenti incarnazioni avevano già compiuto questo sforzo spirituale. Penso che queste anime erano già forgiate a poter sostenere la grazia divina e il conseguente compito loro attribuito, da un lavoro spirituale interiore, precedentemente realizzato. Riprendendo dal principio…. oggi torno a parlare dello sforzo spirituale, perché penso che in questo contesto associativo, in questa esperienza che abbiamo intrapreso insieme fondando l’Associazione di Promozione Sociale e Culturale Alchimistica SATYASVARA, così come nel percorso spirituale personale di ognuno dei presenti, (con alcuni è molto che ci conosciamo e che condividiamo questo viaggio), si sente il bisogno di ripartire dal lavoro spirituale personale.

In questo particolare momento c’è l’esigenza di uno sforzo spirituale ulteriore e perseverante su noi stessi, per noi stessi e per gli altri esseri che si avvicineranno a noi e a questa associazione. Dobbiamo cercare di essere dei canali, degli esempi viventi di spiritualità, perché siamo stati scelti per questo compito e non dobbiamo e non possiamo esimerci dall’accettarlo. Ma dobbiamo cercare di esserlo realmente, sul campo, e non solo a parole o nella nostra immaginazione, che in molti casi è ridondante di energia egoica.

Dunque…. sforzo spirituale…. Che cosa dobbiamo intendere per sforzo spirituale? Nel dizionario lo sforzo viene definito atto, fatica, impegno per raggiungere uno scopo. Lo sforzo spirituale è quindi l’impegno fermo e perseverante, ma anche gravoso per raggiungere l’elevazione della coscienza, il contatto con Dio o come dice Sri Aurobindo nel Savitri: “Per sollevarci dai piani mortali…. a quelli immortali”. In altre parole è la scelta deliberata e l’azione manifestata che progressivamente ci riconducono alla divinità che in realtà siamo, ma che abbiamo dimenticato di essere.

Analizziamo ora come viene inteso lo sforzo spirituale nelle varie culture e religioni.

Nello Yoga, ma è meglio dire nell’Induismo in generale, lo sforzo spirituale viene chiamato Tapas. Il Tapas fa parte del piano etico e morale descritto negli Yoga Sutra di Patanjali. Tapas in sanscrito deriva dalla radice tap che vuol dire “calore, ardere, bruciare”.

Nella religione vedica e nell’induismo è usato figurativamente per denotare la sofferenza spirituale, l’auto-mortificazione o l’austerità, come pure l’estasi spirituale che prova e compie uno yogi o un tapasvin (termine Vriddhi per indicare un praticante di austerità, un asceta) durante il suo percorso evolutivo. Nei Rig Veda questo termine viene messo in correlazione con il culto di Soma.

Nella tradizione yogica, il termine Tapas può anche essere tradotto come “energia essenziale”, relativa ad uno sforzo mirato al conseguimento della purezza corporea e dell’illuminazione spirituale. Esso è uno dei cinque Nyama, la disciplina dell’autocontrollo.

L’esercizio del Tapas comporta un’autodisciplina o un’austerità praticata con la volontà di frenare i propri impulsi fisici, psichici ed emotivi e di dedicarsi attivamente al conseguimento di uno scopo più elevato nella propria vita. Tramite l’esercizio di un Tapas uno yogi o ricercatore spirituale può “bruciare” o prevenire l’accumulo delle energie negative, sgombrando il sentiero verso la propria evoluzione spirituale. In forma personificata Tapas compare nei Rig Veda come il padre di Manyu, o come tapo-rāja (re delle austerità) che è anche uno dei nomi della luna.

La parola Tapas compare la prima volta nel Rig Veda 8.82.7, dov’è usato nel senso di dolore e sofferenza. I monaci e i guru dell’induismo, sikhismo e giainismo praticano il Tapas come mezzo di purificazione, per rafforzare la propria devozione a Dio, come atto di vita religiosa e per conseguire la “moksha” la liberazione spirituale. Tapas può anche essere intrapreso come una forma di penitenza, per liberarsi dalle conseguenze di un peccato, di attività peccaminose o dall’effetto del karma negativo.

Esso significa dunque uno sforzo ardente realizzato a tutti i livelli e in qualsiasi circostanza, per realizzare uno scopo chiaro nella vita. L’intera scienza della costruzione di un carattere o di una personalità può essere considerata come una pratica del Tapas. I saggi yoga affermano che la vita senza Tapas è come un cuore senza amore. Senza tapas la mente ed il cuore non possono fondersi nel divino. Sviluppare un’attitudine mentale in cui rimanere tranquilli ed equilibrati sia nella gioia che nel dolore, mantenere un autocontrollo permanente sono dei tapas per la mente.

Il Tapas si realizza veramente quando si agisce senza motivi egoistici o speranza di ricompensa, con la fede irremovibile che nemmeno un filo d’erba può muoversi senza la volontà di Dio. Esso generalmente conferisce una grande forza, quando invece è utilizzato per scopi egoistici non fa altro che legarci sempre più, alla catena delle illusioni. Nel suo commentario riguardo allo yoga sutras di Patanjali, il saggio yoga Vyasa afferma: “Tapas è la produzione volontaria degli estremi: fame e sazietà, freddo e caldo, stare in piedi e stare seduti, immobilità e movimento”.

Alcune persone praticano una vita spirituale, ma nel momento in cui vengono testate in condizioni esterne difficili, quando è necessario fare uno sforzo maggiore, abbandonano. Evitare lo sforzo non è un’attitudine spirituale, è una fuga, ciò non implica che dobbiamo ricercare condizioni estreme, ma nel momento in cui queste si verificano bisogna essere capaci di affrontarle e sostenerle, senza lamentele o accuse immotivate, anche perché tutto quello che dobbiamo affrontare è propedeutico alla nostra evoluzione. In questo senso c’è una bellissima frase che dice: “tutto quello che ci accade…. è la soluzione migliore che Dio ha trovato per noi”.

Tutte le cose realizzate tramite il Tapas rappresentano degli sforzi compiuti per distruggere i limiti creati dai pregiudizi che condizionano il nostro comportamento, rendendoci incapaci di realizzare le verità profonde. Solamente attraverso la distruzione delle cause che creano questa limitazione possiamo liberarci da essa. L’uomo è incatenato da tante cose irreali, da illusioni, da fantasie. Queste catene penetrano negli strati profondi del subconscio e sono difficili da eliminare senza uno sforzo considerevole, accompagnato da una permanente presa di coscienza dello scopo ultimo. Lo sforzo realizzato attraverso il Tapas agisce direttamente a livello della causa, individuando ed eliminando le impressioni, le attitudini e le reazioni di base che generano la sofferenza. Il Tapas implica anche fede, la fede che ci permette di raggiungere l’obiettivo desiderato durante la pratica. La pratica del silenzio, in sanscrito “mauna”, per esempio è una forma di Tapas che conduce a risultati particolarmente profondi.

Maestro

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