SATYASVARA – Storia di un cammino (VII)

Ho sempre amato e ammirato gli animali. Quegli esseri con i quali poter rapportarmi senza bisogno di parole o dimostrazioni. Da piccola quando mi veniva chiesto “che cosa vuoi fare da grande?” io rispondevo prontamente “la veterinaria!”. Essendo figlia unica, gli animali sono stati per me, sin dalla più tenera età, meravigliosi e insostituibili fratelli e sorelle, compagni di giochi e di coccole, simboli di amore incondizionato e purezza. Sono cresciuta con loro imparando ad amarli e rispettarli… senza rendermi conto che in realtà, in qualche modo, non li stavo né rispettando né amando davvero.

Mangiare carne è sempre stata la regola e la normalità nella mia famiglia come nella grande maggioranza delle famiglie nel mondo e ciò non mi permetteva di vedere l’ingiustizia che in realtà si celava dietro quell’atto, compiuto con tanta leggerezza. Difatti quel pezzo di carne che mi ritrovavo nel piatto non era per me una parte del corpo di quella che, prima di morire, era stata, per esempio, una mucca che respirava, che mangiava, che giocava, ma era semplicemente cibo. Quanti veli abbiamo davanti ai nostri occhi. E quei veli diventano le nostre realtà e le prigioni dei nostri cuori. Guardare un prosciutto o una coscia di pollo e non vedere ciò che realmente è, ovvero una parte del corpo staccata da un animale. Leggere sui volantini del supermercato “abbacchio in offerta” e non rimanere sconvolti dal fatto che si sta pubblicizzando la vendita di un pezzo di cucciolo di pecora morto. Avere un gambero nel piatto e con nonchalance tagliarne via testa e zampette è assurdo, visto con occhi ormai distaccati e lucidi. Tutto questo è davvero un grande inganno della mente

Ricordo che diverso tempo fa, intenta ad osservare la mia gatta dormire serena, mi venne un pensiero: con quale coraggio e diritto si può decidere di togliere la vita ad un esserino così (perché il gatto non è differente da un maiale o una gallina o un pesce spada, anche se noi non siamo abituati a mangiarli per cultura) solo per cinque minuti di piacere durante un pranzo qualunque di un giorno qualunque? Quel pasto è costato una vita, un’esistenza, e per cosa? Per qualche istante di effimera goduria del palato. Quella vita vale davvero un pranzo gustato o non gustato tra i tanti pranzi della nostra vita? Se ci si pensa approfonditamente è davvero una follia.

Ma tornando alla nostra storia, tutto ciò ho potuto capirlo profondamente solo dopo aver iniziato questo percorso di intensa pulizia psico-fisica nella scuola di Yoga, altrimenti fino a cinque anni fa ero la prima a non rendermi conto di niente, un‘adolescente con la mente offuscata sotto tanti aspetti, completamente in balia del mondo. Discendendo dal Gran Sasso ricordo che dicevo al Maestro: “si, io amo gli animali…. ma ora il pensiero di una bistecca mi fa venire l’acquolina in bocca e la mangerei”. Una frase che ora mi fa venire la pelle d’oca, ma in quel momento, vista la vibrazione energetica che avevo, mi sembrava normalissima. 

Tutto però cambiò poco tempo dopo. Difatti nel giro di qualche mese la vicinanza con il Maestro e il lavoro attraverso lo Yoga, la meditazione e la preghiera cambiarono la mia sensibilità e la percezione delle cose; fu così che a Novembre del 2015 mi ritrovai a partire per la prima volta senza Paolo verso San Benedetto, poiché in quei giorni era prevista un’escursione in montagna con la scuola, ma lui non poteva partecipare. Presi il bus con il Maestro, il quale la sera prima aveva tenuto una lezione a Roma Torre Angela. Poco prima di arrivare a San Benedetto il bus passò di fianco all’industria Amadori, in cui vengono allevati e uccisi quotidianamente migliaia di polli tenuti in condizioni pietose. Non mi ero mai soffermata su ciò che accade prima che un animale diventi cibo, bello impacchettato dentro una simpatica confezione di plastica. Beh, ciò che sentii in quel momento fu come uno schiaffo in pieno viso. Il Maestro mi disse: “Senti quest’odore acido e dolciastro che penetra nel bus? Sono le carni dei polli che vengono cucinate e trattate con qualche sostanza chimica”. Rimasi sconvolta, non per la puzza ma per quello che solo in quel momento capii…. lo strazio che avviene ogni giorno negli allevamenti intensivi.

Qualcosa dentro di me stava cominciando a schiudersi, delle finestre che fino a quel momento non sapevo neanche esistessero. Cominciava ad entrare nel mio cuore una luce nuova, la quale penetrò completamente in me la sera successiva a questo evento iniziatico, quando, dopo l’escursione, il Maestro ci fece vedere un film che io avevo già visto diverse volte e che consideravo e considero tutt’ora il mio film preferito: “Into the Wild”. C’era però un aspetto in questo film che non avevo mai evidenziato e vissuto consapevolmente. È questa la bellezza dei grandi film: ogni volta sanno insegnarti qualcosa di nuovo e inaspettato che può cambiare per sempre il tuo modo di percepire la realtà. Ebbene, questo accadde proprio quella sera in me, quando si presentò davanti ai miei occhi una scena ben precisa: Terre selvagge dell’Alaska…. piena estate…. Chris McCandless lì oramai da mesi, solo, alla ricerca della verità, dell’essenza e dell’essenziale della vita…. come ogni giorno in cerca di un pasto che deve procurarsi da sé, con le proprie mani…. un enorme alce di fronte a lui…. fucile imbracciato…. uno, due, tre colpi…. alce a terra…. Chris che corre agitatissimo…. la sua prima grande preda…. coltello nella carne dell’animale, sangue che scorre…. deve fare in fretta prima che le mosche comincino ad invadere la carcassa…. mosche e larve nella carne…. non ce l’ha fatta…. lupi e aquile mangiano l’alce…. disperazione…. tragedia… e infine, le parole di Chris: Si avvertiva chiaramente la presenza di una forza ostile all’uomo. Era un luogo di superstizioni e riti pagani, fatto per essere abitato da uomini più vicini alle pietre e agli animali selvaggi che a noi.”

Qualcosa in quel momento si ruppe in me. Tutte le convinzioni caddero definitivamente di fronte ad una nuova realtà che in quel momento aveva preso il posto dell’oblio in cui ero da sempre. La carne di un altro essere vivente va MERITATA. È un dono, un’offerta della madre terra nei confronti di un altro essere nel momento in cui ha veramente bisogno di cibo per continuare a sopravvivere. L’uomo moderno occidentale non ha assolutamente bisogno di carne per vivere. Ha tutto – ma davvero tutto – il cibo che vuole, in enormi e sproporzionate quantità, ogni qualvolta lo desidera. In quel momento mi sono resa conto dell’egoismo che era in me, della falsità del mio cuore ogni qualvolta dicevo di amare tutti gli animali sulla terra. Tornai da quei giorni stravolta interiormente e a pranzo fui invitata con i miei genitori da mia cugina. Per primo lasagne al ragù, per secondo scaloppine. Con una nuova consapevolezza dentro mangiai per l’ultima volta le lasagne, ringraziando interiormente l’animale che era stato sacrificato per poter far gustare a me (e chi sono io per avere questo privilegio????) quel piatto. Non mangiai le scaloppine. Da quel momento non toccai mai più un cibo che contenesse carne animale e con questo intendo anche la carne dei pesci e dei crostacei.

Man mano che il tempo passava mi sentivo sempre più in pace con me stessa. Ora si che potevo davvero guardare una mucca, un maiale, una gallina, un pesce, un gamberetto, ma anche tutti gli altri animali che noi non mangiamo, e dirgli che li amavo con tutto il mio cuore. Ora si che questo sentimento poteva diventare pienamente reale e scorrere fluido tra me e l’altro essere. Ora SI. Ogni giorno che passa sento che questo sentimento diventa sempre più grande ed elevato. Ora sento ogni animale come un mio pari, con la stessa identica dignità di vivere su questa terra. E in qualità di essere pensante sento anche il dovere di proteggerli, di accudirli e di aiutarli. Ognuno di loro merita solo amore e gratitudine per essere quello che sono, per la bellezza pura e candida della loro anima, per quegli occhi che non hanno niente da nascondere.

Alice