Lo Spirito amorevole del Natale (VIII)

Premetto che la mia famiglia è sempre stata parecchio fredda se non contraria alla religione cristiana, e dunque certi aspetti delle festività natalizie venivano vissuti con meno entusiasmo rispetto probabilmente ad altre famiglie, ciò nonostante il periodo di Natale, soprattutto negli anni dell’infanzia, mi ha lasciato sentimenti profondi, misteriosi e magici, che hanno sicuramente segnato la mia anima.

Alle elementari, quando si avvicinava il Natale, iniziava quella che era la mia attività preferita di tutto l’anno scolastico: la preparazione dei canti natalizi. C’era un vecchio signore con i capelli bianchissimi, si chiamava maestro Vignolo, che ogni anno ci insegnava canzoni diverse, alcune più moderne, ma molte altre della tradizione legata alla sua generazione e a quelle prima di lui. Quando cantavamo quelle canzoni tutti insieme, così fuori dal tempo, per me diventava tutto bianco come se fosse ricoperto di neve, e iniziava a sentirsi un tenero calore sul cuore, un’attesa piena di gioia per la venuta di questo Bambin Gesù, che non sapevo bene chi fosse, ma doveva essere qualcosa di bellissimo. Rievocare canti tradizionali, mi faceva sentire anche tanto vicina a chi aveva vissuto prima di me, come se si creasse un affetto che ci univa valicando i confini temporali. Alcune canzoni parlavano proprio della bontà che soprattutto nel periodo di Natale emergeva profondamente dal cuore di tutti, indistintamente, andando oltre qualsiasi differenza, e questo era sicuramente l’aspetto che più mi colpiva, che mi emozionava e che mi faceva entrare in una dimensione densa di mistero e di aspetti spirituali a me oscuri che non potevo ben capire. Nel periodo di Natale sentivo un’apertura di cuore come un fuocherello al centro del petto, vedevo tutti gli altri bambini e gli adulti con un amore caldo immenso e mi sembrava che fossimo tutti bellissimi, volevo che tutti ci immergessimo in questo amore che era quello del mistero di Gesù, e gioire gioire gioire senza altri pensieri, senza se e senza ma, perché tutto il resto non contava niente. Questa magia e questi forti sentimenti si scontravano talvolta con gli aspetti più grigi della realtà, e soprattutto del mondo degli adulti, che non riuscivano a vedere e a sentire così tanto questa magia, e che per indole, attraverso racconti, canti, entusiasmo e allegria, cercavo di mostrargli. Mi facevano tenerezza i miei genitori e mio fratello, perché non sentivano molto certe cose, ma a quell’età, non essendo in grado di comprendere bene le situazioni, finivo per soffrirne tanto, per rimanere in un forte dispiacere e col pensiero che forse sbagliavo io. Continuavo comunque a cercare di condividere questi sentimenti, regalando loro disegni, e sfinendo le loro orecchie con le canzoncine natalizie, anche se mi rimaneva una strana ferita nel cuore.

In Dicembre con mia madre preparavamo sempre l’albero: lei, più che al cristianesimo, continuava ad essere legata a certe tradizioni e dunque ci teneva molto a mettere in casa qualche addobbo natalizio. Tirare fuori le lucine, le palline, i nastri e tutte le altre decorazioni, che da un anno aspettavano lì chiusi negli scatoloni della cantina, era sempre una grande emozione. Avevamo tutte le palline diverse, perché ad ogni Natale mia madre ne comprava due, una per me e una per mio fratello, che andavano ad arricchire l’albero con un carattere nuovo, dunque tirare fuori quelle degli anni precedenti faceva emergere tante memorie, e ricordo una sensazione particolarissima di tempo sospeso, come se lo scorrere inesorabile del tempo galleggiasse in un sottofondo di eternità che percepivo come un nero infinito. Con cura, io e mia madre aprivamo tutti i rametti dell’albero, e ci ingegnavamo su come sarebbe stato meglio distribuire gli addobbi… ogni volta ovviamente dimenticando tutto quello che avevamo imparato dalle esperienze degli anni precedenti! Poi il presepe… ogni tanto facevamo anche un meraviglioso presepe, con statue giganti, e mi piaceva tantissimo, ma siccome ci voleva tempo per riuscire a fare sia albero che presepe molte volte capitava che non lo facessimo. Mi piaceva però talmente tanto che a un certo punto cominciai a farlo comunque, anche se da sola. Ci passavo ore e ore, per due o tre giorni, prima di riuscire a completarlo e ne ero contentissima, mi sembrava un gran peccato che anche gli altri non si godessero quell’attività così bella, anche se poi ne apprezzavano il risultato.

Quando arrivava Natale ci radunavamo per la vigilia con la famiglia di mia madre, e a pranzo del 25 con quella di mio padre. La cosa più bella di quei due giorni, per cui fremevo dall’attesa, era che il 24 veniva da Milano la sorella di mia nonna, la mia prozia, che io adoravo immensamente e per la quale, appena imparato a scrivere, dedicavo dolci e strazianti letterine d’amore. Lei mi ascoltava e mi voleva bene, e la cosa più bella era che ci divertivamo un mondo e ridevamo tanto. Ricordo che le facevano un solletico incredibile i baci sul collo, che io ovviamente le davo di continuo per giocare… c’era tanto amore tra di noi e il mio cuore di bimba lo sentiva e ne gioiva. Ero molto contenta anche di stare con mia nonna, ma entrambe del segno del Toro, come ci dicevamo, eravamo due “zuccone” e trovavamo da ridire su tutto, però pure lì, nonostante gli screzi, c’era tanto tanto affetto. C’erano anche zii, cugini, nipoti di tutta la famiglia, la tavola si imbandiva di prelibatezze e da buon Toro ne ero deliziata e mi riempivo la pancia finché non scoppiava.

La mattina del 25 mi alzavo prestissimo e correvo in sala per vedere i regali sotto l’albero piena di un’euforia e una gioia incontenibili che mi veniva da saltare di qua e di là da tutte le parti… l’attesa prima di scartare i regali era interminabile, perché dovevo aspettare che si svegliasse anche mio fratello, un noto dormiglione, poi andavamo sul letto grande dei nostri genitori e li aprivamo piano piano tutti: quanto mi piaceva! Dopo l’entusiasmo della mattina dei regali si andava poi a pranzo a casa dell’altra nonna, con la famiglia di mio padre, dove oltre a festeggiare il Natale, si festeggiava il compleanno della zia, nata proprio il 25 dicembre. Ricordo che le candeline dovevano essere rigorosamente il numero preciso dei suoi anni e che oramai sulla torta c’era un falò! Le cose per cui ero più contenta quando festeggiavamo con la famiglia di papà era soprattutto di rivedere il mio cuginetto piccolo che adoravo e la mia cugina grande che guardavo sempre con ammirazione… oltre a questo da giorni prima di quel pranzo mi preparavo perché sapevo che avremmo mangiato le squisite torte della nonna, quella alla carota, ma soprattutto quella al cioccolato… nessuno, pur seguendo la stessa ricetta, era in grado di riprodurle ed erano di una bontà incredibile. Il pomeriggio andava avanti in un’atmosfera di festa, calda e accogliente, in cui non mancavano le interminabili partite a “Indovina chi?” tra noi cugini. La famiglia di mio padre la vedevo molto raramente, molte persone le incontravo proprio solo in occasione del Natale, e ricordo questa particolare situazione di sentire come fossimo sconosciuti ma al contempo famigliari, e del processo di cambiamento che avveniva durante la giornata in cui all’inizio si era più freddi, formali e distaccati, poi sembrava che le persone iniziassero proprio a sciogliersi, a volersi bene e a scambiarsi piccoli gesti di affetto e carinerie… a me queste cose colpivano tanto e molto profondamente, una parte di me voleva piangere di commozione in realtà, e si chiedeva perché non fosse sempre così.

In generale, il vissuto profondo, che vivevo da bambina, legato al Natale, era proprio questo spirito amorevole, così caldo, generoso e incondizionato, che portava gesti di affetto andando a scaldare parti di noi che erano state lasciate raffreddare isolate. Questo lo vedevo e piangevo di gioia e di dispiacere insieme: gioia nel vedere gli effetti meravigliosi di questo amore e dispiacere nel sentire quanto bisogno ci fosse di tutto questo. Vedevo in questi gesti gratuiti senza scopo l’unica cosa sensata che cambiasse davvero un po’ le cose, che toccasse davvero qualcosa in ognuno di noi, e tutto il resto era di contorno. L’assurdità che si può percepire entrando in contatto con i vissuti profondi della famiglia, legati alla sua storia, unito a questo amore così grande, mi faceva scivolare in una dimensione anche un po’ mistica, e che in parte mi spaventava e mi spaesava. Era una dimensione vertiginosa, di amore e dolore, in cui non sapevo bene dove collocarmi, ma nel suo mistero era comunque bellissimo… e in questa atmosfera così piena e grande scorrevano le nostre feste di Natale.

Adriana

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