In occasione dell’ultimo ritiro di gennaio, dopo le condivisioni conclusive, abbiamo avuto una conversazione sul ruolo della moneta e delle pratiche che separano l’essere umano dalla Natura. Sono stato in silenzio perché nella mia testa ribollivano una quantità di informazioni e riflessioni difficili da organizzare. Avendo impiegato due anni come studente di antropologia, appassionato delle pratiche di relazione con la Natura e con le entità non-umane e dell’importanza sociale di tali pratiche, si è trattato di un momento emotivamente molto carico per me perché felice di ritrovare in chiave spirituale le stesse riflessioni che mi appassionavano in ambito intellettuale.
Mi piacerebbe riflettere in queste righe sul valore delle esperienze umane che negli ultimi due secoli gli antropologi hanno vissuto, condiviso e riportato; dalle foreste e dai villaggi sui fogli dei libri e nelle sale di conferenza cercando di superare con fede e fiducia la nebbia dell’interpretazione razionale che per forza di cose riduce l’intensità delle intuizioni e sbiadisce la vivacità sensibile delle esperienze vissute. Ogni società umana, secondo una buona parte del pensiero antropologico contemporaneo, è una realtà a sé stante. Questo è un primo punto fondamentale. Per quanto diffusa e omologante, la mentalità moderna, la tecnica e l’ideologia consumistica e ingegneristica, rappresentano solamente un’infinitesima parte dell’esperienza umana manifestatasi sul pianeta negli ultimi circa 150000 anni. Basti pensare che solo in Italia fino agli anni 50 erano molto diffuse pratiche magiche e tecniche agricole intimamente connesse con la Natura e con i ritmi delle stagioni, con la sfera intuitiva del pensiero magico e non scientifico. Sono solo alcune delle manifestazioni delle infinite possibilità che possono scaturire dall’incontro tra uomo e Natura. La tendenza globale è poco rassicurante: si perdono riti e tradizioni orali, appiattite dall’alfabetizzazione alle quattro lingue egemoniche della modernità e dall’assoggettamento alle tecniche produttive comode ed estrattive dell’Occidente. Però c’è un aspetto rassicurante, ovvero che la diversità è una realtà sociale invariante e che l’incontro genera sempre novità e nuove tradizioni; e che la sensibilità umana si dimostra sempre piena di risultati, per quanto inattesi. Ma non è questo l’oggetto dell’articolo.
Che cos’è dunque la Natura? Secondo una parte consistente dell’antropologia, la Natura è un’invenzione dell’occidente. In altre parole, considerare un insieme a sé stante contente le piante, gli animali, gli insetti ecc. come separato dalla sfera umana della cultura non è qualcosa di condiviso né di universale. Si tratta invece di qualcosa di molto recente e isolato nel tempo e nello spazio. La Natura, si potrebbe dire, è in realtà intelligenza creatrice e compartecipativa. Il Maestro ripete spesso che la Realtà è olografica e multidimensionale. Le diverse forme di umanità ne sono una prova evidente sia sul piano materiale che su quello spirituale. Non solo esistono diversi piani sovrapposti attraverso i quali la coscienza individuale può fare esperienza e rendersi consapevole di sé stessa. Ma in questo stesso momento sul pianeta esistono diverse forme di essere umani in relazione con gli esistenti che ci circondano e che possono essere molto diverse tra loro. Tra gli esistenti annoveriamo anche gli spiriti, gli antenati e le figure mitologiche, le pietre, le montagne, i fiumi, le entità celesti e via dicendo.
Il rapporto con l’ambiente e l’ecosistema, il rapporto con la Natura e la maniera di rapportarsi alle diverse specie viventi sono una cartina al tornasole della concezione di questa Natura, delle diverse cosmogonie, dei diversi mondi che abitiamo. Dal greco kosmos (mondo) e –gonos (der. del tema di γωνία, angolo, prospettiva). Secondo l’antropologo Tim Ingold non siamo solo esseri sociali ma divenenti sociali (social becomings) a seconda delle relazioni a cui diamo vita e che ci plasmano a loro volta. Secondo l’antropologo Philippe Descola, esistono diverse “ontologie”, vere e proprie realtà esistenziali – e non semplici ideologie o convinzioni – a seconda di come ci rapportiamo con l’esterno. Possiamo relazionarci con la Natura interiormente (moralità) o esteriormente (fisicalità) e identificarci con essa o ritenerci separati da essa. Le popolazioni animiste si identificano interiormente con gli esseri della Natura, tutti sono come persone appartenenti a diverse tribù (tribù delle persone del fiume, tribù dei francesi, tribù delle scimmie lanose, del pesce di fiume e via dicendo…). Ogni tribù-specie si differenzia per caratteristiche fisiche diverse, che permettono di accedere alla manifestazione materiale a partire da attributi diversi (quindi se ho le pinne e respiro nell’acqua vedo diversamente che se vivo sugli alberi o striscio nel sottobosco). Tutte le tribù si incontrano nei sogni sotto forma umana e ognuna di loro ha delle regole sociali simili a quelle umane.
Gli occidentali sono l’opposto, ovvero la loro corporeità si basa sulle stesse leggi fisiche che organizzano le altre specie ma si differenziano per un’interiorità unica e inimitabile propria solo della specie umana. Ci sarebbero poi secondo Descola altre due ontologie, ma tutte e quattro sono più dei contenitori all’interno dei quali si trovano molte sfumature. Sono quella analogista tipica della Cina, dell’India e dell’Oriente in generale; ma anche dell’Europa rinascimentale: tutto è collegato in un’immensa catena dell’essere in cui siamo tutti uguali sia sul piano fisico che interiore, su una scala gerarchica di esseri inferiori o superiori o semplicemente con diversi gradi di consapevolezza e risveglio. L’ultima ontologia, chiamata totemismo e tipica degli aborigeni australiani, concepisce che siamo tutti diversi sia fisicamente che interiormente, ma che ci identifichiamo per gruppi (Totem) con caratteristiche simili e provenienti da figure archetipiche (gli Esseri del sogno) apparse sulla terra ai tempi delle origini e che hanno lasciato un’impronta in un dato territorio, una risonanza da cui si generano esseri a loro simili. Così ci sono i canguri, gli armadilli, gli sciacalli, ecc. cui appartengono indistintamente sia umani che animali. Eccezion fatta per l’Occidente, nelle altre tre tipologie di “Realtà esistenziale” non esiste una separazione tra gli esseri umani e la Natura… A parole sembra una cosa da nulla ma per questi esseri è la pura realtà… immaginatevi l’Africa occidentale 100 anni fa, senza internet né scrittura latina, né telecomunicazioni né automobili o suoni artificiali. Gli uccelli sono la cosa più vicina a Dio, perché volano in cielo e vedono il mondo dall’alto. Alle origini il primo uomo e la prima donna vengono da lì. Le persone non è che ci credono, semplicemente è la loro realtà. E tutti i gemelli sono considerati uccelli, imparentati con gli esseri superiori del cielo, vicini al sole quindi a Dio.
Immaginatevi la foresta pluviale della Papua Nuova Guinea, una grande isola a nord dell’Australia con alcune delle specie più rare e bizzarre del pianeta, con una biodiversità unica e ricchissima. La canopea e gli squarci di cielo sono la cosa più elevata, le stelle quasi non si vedono e il canto degli uccelli è in qualche modo paragonabile alla voce degli Angeli celesti che raccontano i miti delle origini continuativamente, fonte di poesia e ispirazione alla radice della lingua umana stessa, che ne ricalca i suoni. Il Casoar (uno struzzo buffo e rotondo) è il “giardiniere della foresta”, perché mangiando i frutti commestibili e defecando i semi decide dove sorgeranno le aree più nutrienti della foresta… e i riti propiziatori, i rituali sono danze e canti in cui ci si ricopre di piume e si diventa questi esseri che chiedono agli umani come comportarsi. In questo universo non esiste la deforestazione, gli alberi sono sacri e ogni segnale, ogni odore è come un cartello stradale che tutti sanno leggere, persino i bambini. La giungla è come un quartiere pieno di abitanti umani ma interconnessi tra loro. Il sapere stesso è frutto di “un’ecologia di relazioni”.
Voi direte “anch’io parlo con il mio cane o con il mio gatto, sono animista”. Si, ma anche no… Sul piano psicologico e cognitivo abbiamo sperimentato tutti questi modi di essere. Ma non sul piano sociale. E c’è una grande differenza, che si vede nelle modalità di interagire con l’ambiente su grande scala. Una scoperta interessante per esempio della paleoantropologia è che la foresta amazzonica non è una foresta vergine. È un ecosistema antropizzato da più di 2000 anni, nel quale gli esseri umani hanno vissuto in habitat rarefatti e in piccole unità spostandosi di volta in volta e lasciando macchie di specie arboree, orticole e arbustive comprovatamente coltivate da loro. Sono i giardinieri della foresta come il Casoar in Papua Nuova Guinea. Se a caccia ucciderò troppe scimmie lanose, per esempio con un fucile, senza averne bisogno e senza aver negoziato i termini dello scambio, mia moglie potrebbe venire morsa da un serpente letale mandato dal loro sciamano in segno di vendetta. Non sono concetti da afferrare… ma realtà esistenziali, innumerevoli manifestazioni di Maya (illusione della separazione e della molteplicità dell’esistenza). Non ricordo più chi, diceva “mostrami come tratti gli animali, e ti dirò chi sei”… per quanto poco scientifica questa affermazione è il nocciolo della questione. La Natura non è separata dalla cultura, siamo un tutt’uno con essa, non esiste separazione. Più osserviamo il comportamento sociale degli animali, più notiamo caratteristiche analoghe a quelle umane. Inizialmente si credeva che la famiglia e la proibizione dell’incesto fossero prerogative dell’umanità. Si è scoperto che non è così; persino la ritualità, il gioco o l’assunzione di droghe si ritrovano tra gli animali. Questo ridimensiona la nostra esuberanza e può forse avvicinarci di più all’ascolto di tutta la realtà infinita che ci circonda…
Le cause di un fenomeno non sono mai univoche ed è difficile dire come e quando abbiamo iniziato a separarci dalla Natura. È stato scritto molto su questo. La realtà è che tutte le cause e concause e la loro contraddizione sono presenti allo stesso tempo. Tutto dipende da quello che agiamo in questo istante e dallo stato interiore con il quale scegliamo di risuonare. Nello stato di presenza assoluta c’è la vibrazione di sottofondo dell’amore universale; il suono della creazione in cui tutto esiste e tutto si riassorbe. L’essere umano ha un ruolo raro e delicato, soprattutto nell’esperienza coscienziale dell’essere occidentale... Ha pulsioni animali chiuse nella gabbia della routine e della civiltà, che generano mostri ma che sono anche la prova del superamento di istinti di sopravvivenza e conservazione, che negli altri animali non sono mediati dalla corteccia pre frontale e dagli apparati superiori del cervello. La scienza ci permette di accedere a questo piano di realtà e di coscienza e dimostra in cosa siamo diversi dagli animali, creando, da poche centinaia di anni, un’ulteriore realtà. Queste pulsioni compresse, generano un contrasto difficile da interpretare. La guerra, la lotta, le cose brutte… esistono persino in Natura e nelle società tribali e tradizionali… ma avvolte in una purezza primordiale che sembriamo aver dimenticato. Siamo come sporcati, ma allo stesso tempo possiamo vedere la storia e il mondo da lontano, metterci in prospettiva... Non c’è mai fine all’indagine se si prende questa direzione, ma tramite l’abbandono e l’adorazione del divino (Ishvara Pranidhana) resta solo un immenso silenzio di sottofondo… e la consapevolezza che nulla è conoscibile in toto con la consapevolezza ordinaria… ma tutto è appartenenza al Tutto…
Niccolò