Ma perché abbiamo chiamato la nostra Scuola di Yoga “Alchimistica SATYASVARA??”. SATYA in sanscrito significa VERITÀ, mentre SVARA significa SUONO o SOFFIO, quindi SATYASVARA etimologicamente significa: “IL SUONO DELLA VERITÀ”… e perché Alchimistica? L’Alchimia è generalmente definita come l’arte o la scienza della trasformazione o trasmutazione delle cose. Negli scritti alchemici più completi si possono individuare tre attività differenti ma collegate tra loro: la ricerca della pietra filosofale (lapis philosophorum), che si riteneva capace di trasformare i metalli vili (per esempio ferro, rame, piombo, stagno) in metalli nobili, cioè argento e oro (la trasmutazione); la preparazione di un elisir di lunga vita; la purificazione e la maturazione spirituale dell’alchimista (lo yogin). L’alchimista non si limitava alla trasmutazione chimica dei metalli in oro o a una esclusiva ricerca a carattere spirituale e mistico: al contrario, questi due aspetti erano strettamente connessi l’uno all’altro. L’Alchimia era una sperimentazione pratica di laboratorio e rappresentava una concezione del mondo, dell’uomo e della natura. La sua attività aveva a che fare con l’idea di tempo, che era a sua volta legata a quella di perfezionamento. Per l’alchimista la realtà presentava sì una molteplicità apparente di cose diverse ma era essenzialmente UNA, era un’unità (“il tutto è uno”): in quanto operatore, l’alchimista con il suo sapere era in grado di accelerare il processo di perfezionamento di se stesso e del creato. Si può dunque individuare nell’Alchimia un’arte capace di sottrarre parti del mondo materiale alla tirannia del tempo e di realizzare la perfezione dei metalli, che è l’oro e quella dell’uomo, che è la sua immortalità o redenzione completa. La perfezione della materia era possibile grazie all’impiego della pietra filosofale per i metalli e dell’elisir di lunga vita per gli uomini, mentre la crescita spirituale era legata a un’esperienza mistica e di illuminazione interiore.
Invece quale disciplina millenaria di carattere pragmatico e spirituale, lo Yoga affonda le sue radici negli strati più antichi del monachesimo ed è presente in quasi tutte le filosofie religiose indiane, affermandosi come sistema a sé stante soprattutto nella formulazione classica dello Yoga Sutra di Patanjali (II-V sec. d.C.). Esso consiste sia in una disciplina psicosomatica, sia in una porta d’accesso ad una vita spirituale elevata. Lo stesso termine sanscrito Yoga, derivante dalla radice yui, indica infatti sia l’azione di “mettere sotto il giogo”, ossia di controllare le forze psicomentali dell’uomo, sia l’atto di congiungere l’anima individuale con il Principio Originario, o Assoluto, il tutto attraverso una serie di principi, pratiche e tecniche adeguati. Una delle leggi fondamentali su cui si fonda tale sistema è detta “dell’analogia o corrispondenza” tra il microcosmo individuale (l’essere umano) e il Macrocosmo (l’universo), in virtù della quale tutto ciò che esiste all’interno dell’essere umano esiste anche al di fuori di esso, vale a dire: ogni essere umano contiene in sé l’intero universo (poiché i suoi centri segreti di forza, CHAKRA, corrispondono e risuonano con i focolai giganteschi di emissione e ricezione dell’energia macrocosmici). Si tratta di un concetto centrale della famosa Tavola di Smeraldo, considerata la base della dottrina alchimista, attribuita ad Ermete Trismegisto, uno dei personaggi divini che gli alchimisti riconobbero quale loro fondatore. Tale principio afferma: “Ciò che è in alto è uguale a ciò che è in basso e ciò che è in basso è come ciò che è in alto, per compiere i miracoli di una cosa”. Ciò sta a significare che tutto è, nella sua essenza, identico, poiché tutto ha una sola qualità, e tutto è pervaso dallo spirito vivificante del divino. Inoltre, ogni cosa, dalla pietra alla stella, è collegata con tutto il resto del cosmo grazie all’unica origine divina.
L’Alchimia (secondo un’ipotetica etimologia: dall’egizio keme = terra nera, ossia l’Egitto), chiamata anche Arte Ermetica o Magisterio Ermetico, era una disciplina teorica e applicata fondata su una visione organicistica e vitalistica dell’universo, che si proponeva, attraverso lo studio di presunte corrispondenze, affinità, influssi fra ogni componente visibile e invisibile del cosmo, di giungere alla trasmutazione dei metalli vili (es. il piombo) in metalli nobili (es. l’oro). Per essere più precisi, stando a quanto affermavano i maestri alchimisti, in realtà non veniva cambiato un elemento in un altro, ma si riportava l’elemento alla sua materia primitiva originaria, e da questa si realizzava una maturazione che conduceva a un’altra forma. Ma il processo alchemico andava oltre, ossia non si riduceva semplicemente ad un’operazione di laboratorio, bensì mirava simultaneamente alla trasmutazione fisica e psichica dello studioso-operatore (l’alchimista) da una condizione di umanità “vile” a un’umanità “nobile o aurea”. E in questo non possiamo non cogliere l’analogia con lo yogin che, attraverso procedimenti specifici, trasmuta e sublima la sua energia grossolana in forme superiori, elevate, spirituali.
Come lo Yoga, l’Alchimia è un’operazione filosofica ma anche pratica, in cui il soggetto che opera è egli stesso un elemento centrale del processo: sia l’alchimista che lo yogin è soggetto e oggetto di se stesso. Egli è parte del tutto e si sente un elemento del Cosmo vivo e sensibile che gradualmente gli si rivela. Nella mente alchemica, così come in quella yogica, non c’è posto per il concetto di alterità: non esiste nulla di veramente esterno, poiché tutto è correlato con tutto, anzi tutto è in tutto, come afferma un antico adagio esoterico. Lo strumento dell’alchimista e dello yogin è egli stesso, il suo corpo, il suo cuore, la sua mente, la sua anima. Il passaggio alchemico dalla condizione “vile” a quella “nobile” significa una maturazione verso la pienezza della propria essenza, una rigenerazione che conduce ad un’emancipazione da impurità, corruttibilità e durata limitata della vita. Anche lo yogin lavora su di sé per “estrarre” dalla sua vita psicomentale, oscura e limitata, lo spirito libero e autonomo, partecipe della stessa essenza dell’oro. L’oro è il simbolo dell’immortalità, in India e altrove; è il solo metallo perfetto, solare, e di conseguenza il suo simbolismo può indicare l’essenza della liberazione spirituale. È interessante notare come, per esempio, l’alchimia cinese (206-220 a.C) sia molto più spiritualizzata di quella occidentale, ossia è, più di ogni altra, un’attività nella quale hanno un’importanza determinante la meditazione, il rituale, la religiosità. Inoltre, in essa diventano decisivi il controllo e la trasmutazione dell’energia sessuale, cose che la rendono estremamente affine allo Yoga tantrico.
Per concludere: sia l’Alchimia che lo Yoga sono tecniche che presentano un carattere soteriologico (concezione della salvezza), entrambe fanno esperimenti sull’anima servendosi del corpo umano come di un laboratorio e mirano alla “purificazione”, alla “perfezione” e alla trasmutazione finale. Entrambe si oppongono alla via meramente speculativa, alla conoscenza esclusivamente metafisica, entrambe lavorano sulla “materia vivente” per trasformarla, vale a dire per modificarne lo status ontologico; entrambe perseguono il superamento dei limiti temporali ed esistenziali, ossia la conquista della libertà e della beatitudine, insomma, l’immortalità. La Scuola Alchimistica SATYASVARA, mette quindi a disposizione degli allievi, insegnamenti pratico/mistici tradizionali e un contesto esperienziale adatto, atti a produrre una maturazione dell’essere, che attraverso l’accettazione, la trasmutazione e la sublimazione delle sue parti più dense (ombra) perviene ad una vibrazione energetica più elevata e ad una coscienza sempre più espansa e divina.
Il Maestro