Se penso agli aspetti yang della fratellanza spirituale subito mi viene in mente la testuggine romana, quella particolare formazione dell’esercito in cui numerosi soldati si assemblano creando un unico corpo di battaglia. Penso a quel senso di lotta e unità in cui non c’è più un confine che separa gli uni dagli altri, ma un unico cuore, che supera i singoli cuori di ognuno.
Il senso di fratellanza emerge e manifesta la sua potenza quando riusciamo ad indentificarci con quell’unico cuore… viceversa sparisce quando lo dimentichiamo. Quel cuore dunque esiste, non è solo un’idea astratta, ma se non ci entriamo in contatto, se non ci sintonizziamo, gradualmente la sua presenza sparisce dai nostri orizzonti e dal nostro senso di realtà lasciando spazio ad altro. Il cuore della fratellanza è un cuore caldo, luminoso, fedele, stabile e dedito al sacrificio di sé… è un cuore immortale, in quanto attraverso il proprio sacrificio in realtà non muore, ma si espande sempre più.
Cercare di mantenersi coerenti con certi valori e ideali di fratellanza nella vita quotidiana ci fa sentire quanto sia difficile rimanere “fedeli alla linea”, ci fa scontrare con la difficoltà profonda del sacrificio, mettendo in luce le nostre debolezze, i nostri limiti e gli infiniti angoli nei quali l’ego ci tiene ancora in scacco. Ma è proprio nelle nostre debolezze che possono nascere il nostro coraggio e la nostra forza, che possiamo crescere e maturare gradualmente quella verticalità che ci permette di non mollare anche quando la tentazione è forte. E se riusciamo a resistere, tanto è più grande la tentazione, tanto più si espanderà in seguito un’energia di forza, di luce, di profonda gratitudine e di redenzione. Quel senso di unità diventerà intimo, vissuto, profondo e ci sentiremo sorreggere da qualcosa di immenso che non proviene da noi, ma che grazie alla nostra attitudine abbiamo permesso che si manifestasse.
Se davvero approfondiamo la conoscenza di noi stessi è facile imbattersi nelle miserie che ci appartengono, e sembra quasi impossibile a volte che da un terreno così apparentemente arido possano nascere buoni frutti. Ma entrando in una logica in cui non siamo più noi al centro, noteremo come non siano queste miserie a determinare il risultato delle nostre azioni, bensì la nostra attitudine. La sincerità, la lealtà, l’umiltà, il coraggio e lo spirito di sacrificio sono compagni preziosi come angeli, che ci accompagnano e ci riempiono di doni sublimi.
Quando un nostro fratello o una nostra sorella sta affrontando un proprio demone, che si manifesta sottoforma di tendenze e pensieri bassi, guardiamolo pieni di ammirazione, tifiamo per lui o per lei… non per quegli aspetti negativi, ma come se stessimo guardando nostro fratello mentre si prepara per la battaglia, perché sta effettivamente per affrontare qualcosa di simile. Potrebbe nascere in noi quasi un sentimento di gioia e talvolta commozione nei suoi confronti, perché stiamo già pregustando la bellezza del suo petto purificato dalle prove, la nobiltà che gli appartiene e che forse ancora non sa di avere, e possiamo provare anche compassione nel comprendere le sofferenze e le grandi difficoltà, gli infiniti errori che si possono commettere, le cadute. Infatti non c’è differenza tra noi e i nostri fratelli. La determinazione e l’impegno messi per affrontare queste forze negative e potenti in un primo momento possono portarci anche allo stremo, ma come un sole che sorge si riveleranno dolcemente essere la porta per la libertà, aprendo fessure dalle quali veniamo trapassati da una luce che non lascia ombre, dalla gentile grazia di Dio.
Dunque, agli occhi di tutto ciò, gli ostacoli, le tentazioni, i nostri vissuti negativi… quanto in realtà appaiono anch’essi come parte fondamentale della grazia? Poiché ci stanno dando l’occasione di cambiare davvero e di donarci, di crescere, di espanderci e di sperimentare maggiormente la nostra unità con gli altri. Perseverando in questo modo di agire, infatti, se ci ascoltiamo interiormente non sentiremo un “io” che vuole e che fa, ma sentiremo sempre di più una pluralità, non un “io” ma un “Uno”, e percepiremo di non essere più nostri, di non avere più una volontà “nostra”, ma di essere più simili a un dono. Cadere nella bocca dell’ego che dice “io” e che vuole, dopo aver sperimentato la letizia di sentirsi dono: questa è la vera sofferenza, terribile, la vera piaga dell’anima che spezza il cuore.
La cosa peggiore che possiamo fare per un nostro fratello e per noi stessi è identificarlo con i propri demoni (che molto spesso è facile siano i nostri)… ognuno ha i suoi e alcuni sono molto oscuri, ma come detto pocanzi ciò che ci determina è l’attitudine. Potremmo quasi dire che noi siamo e soprattutto diventeremo la nostra attitudine, o come diceva John Michael Abelar, il nostro “Intento Inflessibile”. Questo va oltre i fallimenti, oltre i successi… se dentro di noi rimane la purezza di un cuore che desidera sinceramente qualcosa e continua a desiderarlo sempre, anche quando tutto cambia. La fratellanza spirituale dunque, se vissuta con intenzione, è una scala dolce, perché la vera lotta nasconde dolcezza, che può condurci molto molto in alto. “Il regno del Guerriero è protetto da una porta. È ben nascosta, come un monastero tra le montagne. Molti bussano, ma pochi entrano”. (Dan Millman)
Adriana