Forse dovrei iniziare specificando che per comprendere meglio questo articolo è necessario mettersi nei panni di un nato sotto il segno del cancro, con ascendente cancro… o forse parlerò un po’ a tutti, soprattutto alla parte di noi più emotiva e insicura. L’intimità ci mette di fronte a noi stessi se veramente ci diamo alle persone in maniera incondizionata, o se almeno ci proviamo. È come se ci guardassimo allo specchio: vediamo riflessi nell’altro tutti i nostri pregi, i difetti, le piccole e grandi debolezze. Quella che spesso non vediamo è una parte di ombra nascosta, che appena viene stuzzicata morde… noi stessi e gli altri. Nell’intimità crollano i muri che in contesti normali innalziamo per proteggere il nostro piccolo io e ci troviamo quindi davanti un bivio: o abbandonarci e accettarci per quello che siamo espandendo l’intensità del vissuto amoroso, o scappare. Per queste ragioni l’articolo prende spunto dal tema della sessualità e della nudità nell’adolescenza affrontato dai telefilm che abbiamo visto all’ultimo ritiro sulla Psiche, entrando nel personale solo a titolo di esempio.
L’adolescenza per me è stato un periodo molto YIN nel corso del quale mi lasciavo scivolare addosso le situazioni. Non lo facevo consapevolmente, non è che ce l’avessi con qualcuno, non soffrivo di depressione… ma mi trovavo in un contesto poco stimolante per le mie inclinazioni artistiche e per gli interessi intellettuali che avevo e mi sentivo molto insoddisfatto della vita cittadina e demotivato dai colori grigi di Milano. Lo svago, le feste, gli abusi alcolici, non appagavano la sete che avevo. Ho avuto la fortuna di avere amici di cuore, che però percepivo molto uniti tra loro da esperienze che non cercavo. Mi sentivo meno maschile, meno leggero, diverso. Mi volevano bene, ma visto che non reagivo in maniera equilibrata alle provocazioni (normalissime in un gruppo di ragazzi), e per via dei miei discorsi strampalati, venivo spesso preso in giro. Ad esempio, avevo paura di perdere i capelli dopo i 18 anni e avevo insistito a tal punto che iniziarono a strapparmeli per gioco; chi uno, chi due, chi una manciata, anche davanti ad altre persone. La cosa andò avanti per diversi mesi.
Sono sempre stato un romanticone. Avevo trovato rifugio nella poesia, nelle lezioni di letteratura, nel disegno e nella musica blues, il che contribuiva a farmi sentire ancora più diverso. Avevo avuto una relazione che nel mio microcosmo interiore era stata perfetta durante la terza media. Era stato un periodo più YANG e positivo, avevamo fatto le prime esperienze sessuali su un piano totalmente spontaneo e di leggerezza ma la prima volta che provammo a fare l’amore per me fu un po’ traumatico. Pochi giorni dopo lei si trasferì definitivamente all’estero per il lavoro del padre, cosa che sapevamo fino dall’inizio, ma che a quell’età ci straziò come se si trattasse della fine di un matrimonio. Io rimasi un po’ confuso… per tutta la durata del liceo quasi non ebbi relazioni sentimentali e tendenzialmente evitavo le esperienze sessuali. Le ho quasi sempre vissute con profonda insicurezza, come qualcosa che mi era stato precluso e che non potevo vivere come gli altri. Vivevo come sdoppiato: da un lato in un mondo ideale in cui credevo di conoscere la relazione di coppia, mentre dall’altro conducevo una vita sociale che dimostrava il contrario. Salvo rare eccezioni, evitavo le ragazze che davano segni di interessamento e mi perdevo dietro ad amori platonici finendo puntualmente molto ubriaco e arrabbiato in stati patetici e deliranti in cui me la prendevo con oggetti inanimati.
Durante il ritiro sono emersi moltissimi ricordi che ho tentato di ricucire tra loro… l’ombra più grande forse del periodo che va dai 14 ai 17 anni (forte ancora oggi) è un senso totale di non accettazione di quello che veramente sono (o di ciò con cui mi identifico) e di quello che ho vissuto e che mi era stato dato di vivere. Non valorizzavo le cose positive e mi soffermavo in maniera esagerata, aberrante, sulle cose che invece avevo da recriminare a me stesso, senza però muovere dei passi coraggiosi per migliorare. Ma non me ne rendevo conto. Mi era cresciuto dentro un senso di profonda ingiustizia, che andando avanti con l’età avrebbe potuto manifestarsi in maniera negativa; un rimpianto che prende forza nell’ombra per poi sfogarsi in maniera scompensata e che quindi al ritiro mi ha fatto un po’ paura. Per esempio, durante il telefilm provavo un grande senso di invidia verso i protagonisti maschili. Mi capita relativamente spesso. Allo stesso tempo, come fosse un eco di amori adolescenziali, ero colpito sul vivo dalla bellezza di alcune attrici, rivivendo gli stati che attraversavo da ragazzo. La bellezza infatti mi mette in crisi, palesandomi quel senso profondo di ingiustizia, per cui non capivo perché tutte le cose belle che “desideravo” mi fossero negate. È evidente che si tratta di una ferita grande e la cosa talvolta mi genera molta sofferenza e pensieri ossessivi. Per anni ho usato questa mancanza per definirmi, sentendomi interiormente un mezzo uomo/finto uomo, troppo basso, poco brillante, imbranato. È qualcosa di profondo e oscuro, un senso di inadeguatezza totale verso di me e di giudizio forte verso le situazioni che mi trovo a vivere, in cui c’è anche l’orgoglio di volere essere sempre di più. Se ci entro in contatto si genera uno stato di vergogna, per quello che sono e per non aver superato veramente questi vissuti. Nei momenti in cui quest’ombra ancora mi prende vivo uno stato di nausea, di difficoltà a vedermi allo specchio e devo trattenermi dal prendermi a manate in faccia. Mi pare al contempo inverosimile e insopportabile essere amato o apprezzato per quello che sono e vorrei evitare le relazioni. Nei momenti più veri, in cui non mi posso nascondere, provo un dolore sul cuore e tendo a creare dei problemi inesistenti.
Mentre attraversavo questi stati facendo anche sogni positivi che mi aiutavano a sciogliere blocchi profondi, a portarli verso la luce, a provare molta compassione amorevole verso me stesso e verso le persone che nella vita ho trattato male per via di queste ferite, vivevo costantemente uno stato di sofferenza dell’ego, che tentava di distrarmi di continuo con il pensiero compulsivo soffrendo ogni volta che veniva riportato alla presenza… generando così uno stato di espansione sul cuore molto forte e allo stesso tempo una sensazione tangibile di sentirsi stretto nel corpo. Solo a parlarne mi sento una cosa tanto piccola e provo vergogna. Ma spero di aver reso anche in parte un’idea di cosa significhi avere a che fare con le proprie zone d’ombra e quanto il contesto di un ritiro possa favorire l’emergere di vissuti profondi accompagnandoli alla consapevolezza e a uno sguardo luminoso e amorevole a partire dal quale possiamo letteralmente provare a riscrivere il destino con la nostra attitudine nei confronti della vita. L’ultimo giorno leggendo il Vangelo sono incappato nella Parabola dei Talenti, in cui Gesù parla del padrone che ha lasciato i suoi servi a custodire il suo patrimonio: due servi fanno prova di intraprendenza e raddoppiano le loro monete (metafora dei talenti). Un terzo servo invece, per paura di perdere il suo talento e timoroso delle severe punizioni del padrone, lo nasconde in un fazzoletto e lo mette da parte. Il padrone al rientro premia le virtù dei primi due servi e redarguisce il terzo, che non ha saputo far fruttare il suo talento. Non ho mai capito il senso di questa parabola… fino a quando non ne ho parlato fuori dal ritiro e mi è stato consigliato di leggere la LEGGE DIVINA DELL’UTILIZZO sui corsi della scuola. Ho realizzato che ho la tendenza a vivere diverse cose della vita come quel servo, che per timore non ha saputo apprezzare ciò che il Signore gli aveva dato, vivendo proiettato nel passato o nel futuro.
Sono consapevole di avere ancora tanto da crescere e di dover imparare ad ammetterlo. La scuola mi ha rinforzato molto, cambiando completamente la prospettiva sulle cose. Cerco di ringraziare e vivere appieno e in serenità per lodare Dio della sua presenza in ogni istante e in tutte le cose e smettere di fuggire dalle situazioni. Non è sempre facile. Provando a concludere su un piano più elevato e che ci riguarda tutti, grazie alla scuola sto cercando di impegnarmi a non identificarmi con quello che penso di essere e abbandonarmi veramente a Dio quando mi accorgo di essere in balia del “corpo di dolore”. Sono contento delle esperienze che negli anni di uscita dall’adolescenza mi hanno portato a riconoscere che non è possibile trovare tutto quello che cerchiamo in una persona sola, che le relazioni affettive non si definiscono con dei limiti e delle etichette, che l’amore è plurale e che è un sentimento che ci avvolge anche oltre il sesso, non qualcosa che possediamo, come una caratteristica peculiare di un rapporto unico tra due individui. Spero di continuare ad apprendere dall’intimità e dalle relazioni, di avere il coraggio di non evitarle e il rispetto di coltivarle in senso positivo. Spero di imparare che la sessualità è prima di tutto un gioco, uno stato di leggerezza e presenza totale in cui l’impegno a non disperdere il potenziale sessuale creatore ci mette in contatto con i piani più elevati di coscienza e ci può aiutare a superare possessività e gelosia. L’unione con la persona che abbiamo accanto, che è manifestazione dell’Assoluto, ci porta a divenire per un certo lasso di tempo una cosa sola… senza aspettative e senza giudizi, cancellando alcune immagini stereotipate della pornografia che per molte persone (soprattutto uomini) hanno costituito un immaginario tanto irreale quanto vampirizzante dell’energia creatrice.
Niccolò