Milarepa

Il nome Milarepa è formato dal patronimico Mila e da Repa, che significa Buona Novella; figlio di Mila-Trofeo-di-Saggezza e di Bianca-Ghirlanda, e fratello di Peta-Protettrice-Fortunata, di famiglia ricca e rispettata. Sul letto di morte, il padre mise sotto tutela il proprio patrimonio in favore dei parenti, con l’accordo che Milarepa ne sarebbe rientrato in possesso in età matura; allora Milarepa aveva circa 7 anni. All’età di 15 anni, e pronto per le nozze, con a fianco la madre, la sorella, lo zio materno e i testimoni del testamento, chiese agli zii la restituzione del patrimonio, ma questi, forti della numerosa progenie, con la menzogna negarono ogni addebito, schiaffeggiarono la madre di Milarepa e li scacciarono dalla casa gettandoli in strada.

La madre, in cerca di vendetta, mandò Milarepa ad imparare la magia nera per punire i parenti. Egli si donò completamente al proprio maestro per ottenere i poteri magici, attraverso i quali punì lo zio e la zia uccidendo tutta la loro progenie, privandoli di ogni bene materiale, ma lasciandoli in vita, e agli abitanti del paese che volevano punire la madre mandò la grandine e distrusse i raccolti.

La vendetta era compiuta ma Milarepa non ne gioiva, anzi, era pieno di rimpianti per le proprie terribili azioni. Al momento della morte del proprio maestro di magia, chiese cosa fare per alleviare il proprio cuore, e questi lo indirizzò sulla via della buona dottrina alla ricerca del maestro Marpa, che lo avrebbe istruito lungo il nuovo cammino.

Le prove a cui Marpa sottopose Milarepa furono terribili: gli ingiunse di usare la magia, poi di sanare i danni prodotti, gli disse di costruire una torre per tre volte, e per tre volte, a metà dell’opera, gli disse di distruggerla e di ricostruirla in altro luogo. La quarta volta la torre fu costruita, ma Marpa non concesse a Milarepa il proprio insegnamento, gli fece costruire delle logge, accettò dei doni, ma anche allora lo scacciò senza concedergli il proprio insegnamento. In tutti questi frangenti, la moglie del lama Marpa sosteneva e consolava Milarepa, che era logoro sia nel corpo sia nello spirito, ma ciò sembrava rendere Marpa ancora più intransigente e inflessibile.

Le prove diventavano sempre più dure e la moglie di Marpa provò ad aiutare Milarepa ad ottenere l’insegnamento con l’inganno, ma questo gli si ritorse contro perché al momento dell’iniziazione Marpa disse: “tutto ciò che ti ho fatto patire era per purificarti dai tuoi nove peccati, ma siccome, a causa dell’indulgenza di mia moglie, hai errato, sei stato liberato solo da otto dei tuoi peccati, quindi riceverai l’insegnamento ma dovrai continuare la pratica”; e fu così che, infine, Milarepa fu istruito sulla via e chiamato dal maestro Mila-Trofeo-di-Diamante.

Marpa quindi murò Milarepa nella torre, lasciandogli dei viveri e una lampada accesa posta sopra la testa, in modo che non potesse muoversi senza spegnerla; lo lasciò così a meditare per undici mesi. Quando lo fece uscire, Milarepa declamò una poesia al Buddha e alla manifestazione, poi spiegò la sua comprensione del Piccolo Veicolo, che è la ricerca della liberazione personale, e del Grande Veicolo che, tramite la compassione, ricerca la trasmigrazione e la liberazione di tutti gli esseri.

Rimase da Marpa per altri anni, in reclusione e meditazione, poi sognò la propria casa distrutta e decise che era il momento di farvi ritorno. Marpa lo salutò dicendo di avere dei dubbi sulla sua scelta, tuttavia disse: “il sole presagisce che farai risplendere la dottrina del Buddha in ogni dove, quindi vai”, e lo congedò dandogli un’ultima iniziazione.

Tornato al villaggio, apprese della morte della madre e del destino errabondo, chiese dell’elemosina, donò alla zia, questa volta consapevolmente, il proprio campo e la propria casa, quindi si ritirò a meditare in una grotta, facendo giuramento che non sarebbe ridisceso se non quando avesse raggiunto lo stato di santità.

Dopo alcuni anni di meditazione, i viveri erano finiti e iniziò a nutrirsi di ortiche, tanto che il suo corpo divenne scheletrico e verde come un arbusto. Alcuni cacciatori che passarono di là lo maltrattarono, altri lo nutrirono, ma Milarepa rimaneva focalizzato nella sua meditazione.

Arrivò ad un punto che il suo ascetismo lo rese simile ad un cadavere, in quella situazione incontrò Peta, sua sorella, che, insieme alla sua promessa sposa Desse, iniziò a mendicare per lui e nutrirlo. Entrambe diventarono sue discepole, così come la zia, che, alla morte del marito, lasciò tutti i suoi cari e tutti i suoi beni e diventò un’asceta sotto i suoi insegnamenti.

Milarepa, la cui coscienza era espansa, iniziò a muoversi liberamente negli universi astrali. L’ultimo ostacolo allo stato di spiritualità era dovuto agli stati coscienza contrapposti che viveva nell’ascetismo, rispetto a quelli che viveva adesso che tornava a nutrirsi. Lesse gli ultimi insegnamenti di Marpa che aveva mantenuti intatti in un rotolo e, applicandoli, raggiunse lo stato del Buddha: era completo in se stesso.

Da questo momento in poi intorno a Milarepa si raccolgono numerosi discepoli; i suoi insegnamenti vengono promulgati attraverso canti poetici come questo, riferito alle cose inutili:

  • A che scopo le lettere dei Tantra, senza lo spirito della dottrina?

  • A che scopo meditare sulle formule se non si rinuncia alle opere del mondo?

  • A che scopo le cerimonie senza sottomettere corpo, pensiero e parole alla Dottrina?

  • A che scopo meditare sulla pazienza se essa non è la risposta alle ingiurie?

  • A che scopo i sacrifici se non si rinuncia alla parzialità e all’odio?

  • A che scopo le elemosine se non si estirpa la radice dei propri desideri?

  • A che scopo celebrare il mio anniversario se non pregate dal profondo del cuore?

  • A che scopo la virtù della rinuncia senza anteporre gli altri a se stessi?

  • A che scopo la compassione con le buone parole senza la rinuncia ai desideri cattivi?

  • A che scopo discepoli numerosi se non si obbediscono tutte le mie parole?

  • Tralasciate ogni azione inutile, non potrebbe che nuocere.

  • Eremita che ha adempiuto la sua missione, io non ho bisogno più di niente.

Sul Letto di morte così cantò:

  • Colui che non combatte la miseria morale dice solo parole sterili e vuote.

  • Colui che non raccoglie nessun merito e non pensa alla sua salvezza, raccoglierà la trasmigrazione.

  • Colui che non distribuisce ciò che ha ammassato avrà un bel meditare, perché rimarrà senza virtù.

  • Colui che non signoreggia il demone dell’ambizione, non trova che rovine e conflitti nel suo desiderio di gloria.

  • Occupate l’ultimo posto e arriverete al primo.

  • Colui che va lentamente arriverà presto.

  • La rinuncia produce grandi effetti.

  • La nozione del nulla genera la compassione.

  • La compassione abolisce la differenza fra sé e gli altri.

  • Il confondere sé con gli altri realizza la causa altrui.

  • Colui che realizzerà la causa altrui mi ritroverà.

  • Colui che mi avrà ritrovato sarà un Buddha.

  • Io, Buddha, discepoli,

  • Preghiamo senza distinzione con una sola preghiera.

Cantò così, poi aggiunse queste parole: “Non so se avrò ancora molto da vivere. Ora che mi avete ascoltato, fate come ho fatto io stesso”, rimase immobile, e fu così che, giunto all’età di 84 anni, il quattordicesimo giorno dell’ultimo mese dell’inverno, dell’anno della Lepre di Bosco, sotto l’ottava costellazione lunare, al sorgere del sole, il Maestro mostrò i segni della morte.

Maestro