“Oh come è bello e gioioso stare insieme come fratelli. Come olio che scende sulla testa profumando tutto il volto, come olio che scende sulla barba profumando anche le vesti, come rugiada che scende dall’Ermon sui monti di Sion, là il Signor dà la benedizione e la vita per sempre. Gloria al Padre al Figlio allo Spirito ora e sempre in eterno.” (Sal 133, Canto delle Ascensioni di Davide)
Ho scelto questo canto, perché era uno dei diversi canti che nella mia parrocchia quando ero piccola, mi commuoveva ogni volta che veniva fatto. Sentivo sempre un vortice caldo e immenso nel petto che non sapevo né spiegare né riconoscere, e quando ho iniziato a scrivere questo articolo, è subito risuonato nella mia mente provocando uno stato molto grande di commozione difficile da reggere. Sono ormai diversi anni che mi trovo all’interno di questa scuola, e potrei descrivere questo percorso utilizzando la metafora di un lungo e faticoso viaggio segnato da alti e bassi, soddisfazioni e momenti di difficoltà, periodi di spinta e altri di crisi. Ho iniziato tutto questo con l’intento di capire certi vissuti, di sanare alcune ferite e arrivare alla verità e all’essenza ultima delle cose, questo perché mi accade spesso di vivere ogni cosa come un grande mistero e allo stesso tempo nutro da sempre un’aspirazione al miglioramento costante di sé, fino a raggiungere uno stato di perfezione.
Per mia natura tendo ad essere molto individualista nelle sfide e nei percorsi che accetto di intraprendere, per me è davvero molto difficile condividere vissuti interiori, stati emotivi e sentimenti, se non quelli che scelgo di mostrare, soprattutto perché di mio e per esperienze vissute, ho una grande tendenza al non fidarmi. Quindi fin dall’inizio ho fatto molta fatica a sentirmi come “appartenente” a una qualsivoglia forma di gruppo che sia esso di Yoga o più approfonditamente spirituale. In generale il senso di “gruppo” desta in me timori di cui ancora non comprendo appieno le origini e la natura, ma si avvicina a qualcosa di molto simile a un concetto chiuso ed elitario.
Ci ho messo davvero molto molto tempo ad accettare invece (ma ancora non del tutto) quanto il cammino verso la consapevolezza interiore e alla liberazione dalle proprie catene personali egoiche, possa essere arricchito dalla presenza degli altri e possa assumere un sapore diverso se contestualizzato all’interno di una “famiglia spirituale”. Ho scoperto molto gradualmente, che i legami con gli altri erano una parte integrante della crescita, e a volte nei momenti di condivisione mi accorgevo di trovare ispirazione dalle testimonianze e dai vissuti degli altri per andare avanti e guardare al futuro, così come nei momenti di difficoltà ho trovato dalle persone con cui ho legato maggiormente, comprensione e conforto. E devo dire che in alcune situazioni lo stato di conforto diventa davvero un balsamo per il cuore.
Il concetto di fratellanza spirituale è antichissimo e trascende le culture e le religioni. Nella Bhagavad Gītā, Krishna esorta Arjuna ad abbracciare il dharma con fiducia, riconoscendo che ogni essere è un riflesso del Divino: “L’uomo che vede il medesimo Signore in tutte le creature non si perde mai” (Bhagavad Gītā, 6:29). Questo senso di unità, di riconoscimento dell’essere in ciascuno, del guardare tutti all’unisono verso un’unica speranza, è per me il fondamento della fratellanza spirituale.
Ricordo ancora nei momenti di maggiore crisi personale, dove tutto diventava confuso e iniziavano i soliti meccanismi punitivi e rigidi, le parole di Davide che, nonostante non conoscessi da molto tempo, avevo sempre nutrito verso di lui un affetto particolare e un’affinità fraterna: “Sii gentile con te stessa, smettila di fare sempre il bravo soldato, ci vuole pure accoglienza e amore”. Quel piccolo gesto, accompagnato dal suo sorriso, ebbe un impatto profondo su di me, perché avevo ricevuto, gratuitamente e senza chiedere, un aiuto. Inspiegabilmente qualcuno si era fatto carico delle mie ferite, aiutandomi, senza lasciarmi lì, sola a dovermela cavare con le mie sole forze, e fu bellissimo. Mi fece sentire per un attimo che non era poi così tanto faticoso vivere, sia nel percorso spirituale, sia nella vita in genere, ma esisteva un nuovo sapore: quello di esserci l’un per l’altro. Era come poter tirare un sospiro di sollievo e dire: “ok, allora non bisogna combattere ogni giorno, ogni tanto ci si può anche riposare”.
Anche Gesù Cristo, nel Vangelo di Giovanni, ci invitava alla fratellanza con il famoso comandamento: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Giovanni 13:34). Questo invito alla compassione e all’amore reciproco è sorprendentemente simile al concetto di ahimsa, la non-violenza, che però non si limita semplicemente all’estenersi dal fare male, ma come scritto nel nostro libro del primo anno, essa ha un significato più profondo volto al prendersi cura di tutti gli esseri viventi con gentilezza e rispetto, ed è per questo che l’ho sempre sentito vicino al concetto di fratellanza e famiglia.
Come detto, il mio ingresso nella scuola è avvenuto lentamente, vincolato da molte paure e dalla voglia di “non immischiarmi”, ma poi nel corso del tempo, questo gruppo è diventato una comunità vibrante di persone e anime in cammino, in cui la sensazione di “essere tutti sulla stessa barca” spingeva a uno stato di compassione per molti di noi, e di assenza di giudizio delle mancanze altrui, di solidarietà e di tolleranza delle parti d’ombra di ognuno. Fino ad arrivare poi ad essere la mia casa. In tutto questo tempo con molte persone della scuola, soprattutto con quelle che ora non ci sono più, ho condiviso risate e lacrime, fallimenti e successi, rabbia e amore, creando con alcuni, un legame davvero tanto tanto profondo e per me molto prezioso.
È pur vero che non è sempre facile riuscire a restare in uno stato di comprensione e apertura, perché purtroppo l’ego ha mille forme, e nel tempo ho capito che una tra queste è la voglia di piacere, di essere accettato e riconosciuto, e questo molto spesso, in maniera più insidiosa e inconsapevole rispetto ad altre caratteristiche egoiche palestemente più pesanti, può portare anche a uno stato di ipercontrollo sugli altri, di competizione e di intolleranza nei confronti dello stato umano debole e fragile di cui tutti noi purtroppo siamo vittime. Questa è una cosa che mi ha sempre spaventata, e dal momento in cui lo vedi così nitido anche su te stesso, allora il paradigma con cui viene visto ogni rapporto cambia, cercando di andare oltre il proprio bisogno di essere amato e accettando uno stato maggiore di solitudine interiore, pur di tutelare quelli che sono ormai diventati dei “fratelli”.
La fratellanza spirituale richiede vulnerabilità, la volontà di mettere da parte l’ego e le proprie maschere di protezione e di accettare gli altri per come sono, con i loro limiti e le loro peculiarità. In molti momenti ammetto di faticare parecchio a mantenere l’equilibrio tra il mio bisogno di spazio personale e solitudine (che sono abbastanza elevati) e l’esigenza di essere parte di un gruppo, mettendomi al servizio e in secondo piano. Ma è proprio in questa via di mezzo che sto cercando di conoscermi meglio e di crescere in modo sempre più profondo.
Swami Shivananda diceva: “Ama, servi, da’, purificati, medita, realizza”. Questo mantra incarna per me perfettamente il cuore della fratellanza spirituale. Ogni volta che siamo in grado di mettere in pratica anche solo uno di questi principi con gli altri, stiamo contribuendo non solo alla loro crescita, ma anche alla nostra. La fratellanza spirituale è un flusso continuo di dare e ricevere. Non è qualcosa di cui si è semplicemente spettatori, ma un campo d’azione in cui tutti abbiamo un ruolo. Ogni sorriso, ogni parola gentile, ogni gesto di supporto diventa un seme piantato nel cuore altrui. In questi otto anni, la scuola di Yoga Satyasvara è stata la mia casa spirituale, il luogo dove ho trovato un sostegno prezioso nei momenti difficili e una gioia condivisa nei momenti di luce. Ma anche il luogo in cui ho sperimentato nuove sofferenze, difficoltà personali molto grandi, diffidenze, timori e confronti. Ma come dice sempre il Maestro: “È sempre tutto giusto”, anche se poi nei fatti bisogna avere una grandissima fede in Dio per continuare ad andare avanti!
Mary