Chi si avvicina allo yoga lo fa di solito per due ragioni. Un amico lo ha consigliato per prendersi cura di un’anca malandata o combattere lo stress accumulato in ufficio nella consueta lotta tra scrivanie. Oppure si è alla ricerca di una risposta sui grandi temi dell’esistenza. Chi siamo? C’è qualcosa oltre la vita? E se sì, quale sarà il nostro destino?
Lo yoga può aiutare il praticante a trovare ciò che cerca in un caso e nell’altro perché è, tra molte altre cose, un “metodo” per scoprire se stessi. È in fondo proprio questo uno degli insegnamenti più importanti contenuti nella Bhagavadgītā, uno dei testi di riferimento dello yoga che è parte dell’immenso poema epico Mahābhārata.
Nella Bhagavadgītā la lezione impartita da Krishna al Principe Arjuna che si rifiuta di scendere in battaglia è che ciascuno ha una vita da vivere alla quale non si può, non si deve sfuggire. Il destino di Arjuna è quello di combattere. Per farglielo comprendere, Krishna gli insegna la pratica dello yoga.
E l’insegnamento di vivere al meglio la propria esistenza utilizzando gli strumenti messi a disposizione dallo yoga vale per atei e credenti di ogni religione.
Ma lo yoga è proprio adatto a tutti? Visto che si tratta di una filosofia olistica dedicata alla persona nel suo insieme, e quindi di per sé ideale per tutte le persone, verrebbe naturale dire di sì.
Per quanto riguarda l’aspetto più fisico dello yoga, chiunque può praticarlo per tenersi in forma, preservare l’elasticità del corpo, prevenire gli acciacchi dell’età, favorire il recupero dopo un trauma e anche – attraverso un’assiduità capace di sfidare gli anni – tenere lontane diverse patologie.
Ciò che comunque è chiaro per i praticanti, è che lo yoga è ben più che assumere con il corpo certe “posizioni”. Senza concentrazione, senza consapevolezza, senza quella spinta interiore capace di portare la mente a un nuovo livello di coscienza, non c’è asana. C’è solo un corpo che esegue un esercizio ginnico.
Farà bene anche questo, non lo mettiamo in dubbio. Ma allora è inutile sforzarsi in una disciplina come lo yoga che chiede molto al praticante, tanto da svelargli l’esistenza di mondi e desideri sui quali magari neanche gli era capitato di riflettere prima dell’inizio della pratica.
Ed è qui che di solito chi si avvicina allo yoga senza la necessaria predisposizione si arrende, getta la spugna, fugge via a gambe levate da un’esperienza che gli chiede di scoprirsi, mettere in gioco qualcosa di sé, le sue convinzioni.
Per molte persone è inaccettabile mettersi in discussione. Perché conducono una vita già abbastanza difficile per cercarsi altri guai, oppure perché il loro sistema di valori e la loro idea di se stessi e di ciò che fanno non c’entrano niente con l’esperienza di scoperta proposta dallo yoga.
Naturalmente, non c’è nulla di male in questo. Il mondo è pieno di persone intelligenti, sensibili ed evolute che si sono avvicinate allo yoga e non l’hanno trovato adatto a loro.
E ce ne sono ovviamente altre a milioni che invece allo yoga non si sono ancora avvicinate. A queste, noi praticanti possiamo consigliare, sommessamente e con grandissima umiltà, di provare.
Ricordiamo loro che per qualcuno lo yoga è una rivelazione immediata – così era stato per chi scrive, che aveva iniziato banalmente per curarsi la sciatica e invece aveva scoperto una disciplina perfetta per lui – e su altri invece esercita un’attrazione più ellittica, che magari impiega qualche settimana a manifestarsi nella sua interezza.
E infine, nel caso queste persone desiderassero venire una volta a lezione, ricordiamo loro di portarsi dietro l’elemento più importante, per avvicinarsi allo yoga, e forse alla vita in genere: la curiosità.
di Silvio Bernelli | 13 maggio 2015 (il Fatto Quotidiano)