Io non ho paura del cibo

Nella Cina antica era tradizione pagare il medico per ogni giorno di salute ed interrompere il pagamento quando ci si ammalava, infatti l’obiettivo consisteva nella cura della salute. Il “bravo” medico era quello che non faceva ammalare, si prendeva cura di te mentre stavi in salute, era colui che si faceva carico della cosa più importante, il tuo star bene, ed aveva una idea fissa, ovvero che il benessere va più che riconquistato, mantenuto. Oggi tutto ciò sembra strano, ma ragionandoci sopra, viene da domandarsi se la condizione naturale dell’uomo sia la salute o la malattia, insomma, per quale motivo possedere un corpo sano, vigoroso e longevo suona strano?

Già il fatto di porsi una domanda del genere è sintomo di una società in crisi, che ha paura di ammalarsi, che si sente minacciata da un ambiente sempre meno sano e da un cibo che fa male. Certamente spargere panico non è l’argomento che tratteremo, infatti non c’interessa investigare su cosa ha indebolito l’uomo ma su come venirne fuori tramite un approccio più cosciente verso ciò che mettiamo in bocca.

Mi torna in mente quando ero ospite a Chaiaya, nella Tailandia del sud, del monastero Wat Suan Mokkh fondato dal venerabile Buddhadasa Bhikkhu (1906-1993), un monaco le cui riforme, per non dire trasgressioni, lo avvicinano molto al nostro San Francesco d’Assisi, tanto che si conquistò l’appellativo di “monaco pazzo”. Durante una discussione sulla meditazione, un monaco disse che le cose debbono essere semplici perché, come sosteneva il Buddha, quando le domande sono troppo complicate è sbagliato porsele.

Non sto dicendo che bisogna ignorare i problemi e non so dire se questa citazione è corretta, basta ricordarsi che la prima cosa che fece Siddahartha Gautama, appena gli furono chiare le idee, cioè quando divenne il Buddha, fu rottamare gran parte delle vecchie religioni. Abbandonò l’induismo, lo svuotò del suo panteon e decise di mettersi in proprio, infine si focalizzò su un unico problema, quello della sofferenza, così anche noi cercheremo un approccio buddista al cibo, mettendo da parte, per il momento, tutto il resto.

Se vogliamo parlare di benessere, la prima cosa da dire è che per uno stato di salute costante il cibo gioca un ruolo fondamentale, infatti ciò che mangiamo influenza la qualità delle urine che, per esempio, possono diventare troppo acide e allora bisogna bere molto the verde per alcalinizzarle. Il sangue a sua volta trasporta elementi nutritivi come l’ossigeno che cibano le cellule del nostro corpo. Compreso questo viene da domandarsi se il cibo agisce anche su ambiti che poco hanno a che fare con la biologia, per esempio, una cattiva alimentazione può cambiare le nostre emozioni fino a generare stati d’animo tanto penosi che diventano vere e proprie malattie?

Stiamo parlando di quello che Baudelaire definisce così: Quando il cielo basso pesa come un coperchio sullo spirito che geme, preda d’un tedio ininterrotto, e in un unico cerchio stringendo l’orizzonte dispensa un giorno nero più triste della notte”. Baudelaire “Spleen” – I fiori del male

Buadelaiere, per dare un volto a questa sensazione scelse la parola inglese “spleen”, che significa malumore, malinconia o anche milza creando così una relazione tra uno stato d’animo e un organo fisico, la cistifellea. Se la poesia si apre con questa scena, si chiude con un’altra che presenta tutti i sintomi di una forte depressione: la Speranza, vinta, piange, e l’Angoscia, dispotica, mi pianta sul cranio il suo vessillo nero”. Baudelaire “Spleen” –I fiori del male

È stata la cistifellea a generare una giornata nera o è stata una giornata nera a generare un eccesso di bile? In entrambi i casi è possibile che sia entrato in gioco un altro elemento, il cibo?

Secondo lo Yoga, il contenuto del cibo è importantissimo, non tutto quello che mangiamo è uguale. Infatti esistono cibi di serie A e cibi di serie B, cose da mangiare e cose da evitare per conquistare una alimentazione ricca di “Sattva”, cioè equilibrio. Ogni elemento contiene una certa qualità chiamata Guna che lo colloca, a seconda della dominanza del principio Tamas, Rajas o Sattva, su un certo livello vibrazionale.

Il Tamas è la pesantezza, l’inerzia, l’indolenza, il torpore, mangiando cibo troppo tamasico si ingrassa e si diventa goffi, ma è anche l’andar piano, in profondità; dall’altro lato ci sono dei nutrimenti che contengono una maggiore quantità di Rajas, e si diventa nervosi, agitati, infatti un eccesso di Rajas genera instabilità, frenesia.

Il fine dell’alimentazione, secondo questo modo di pensare, è nutrirsi di cibo armonioso che non dia pesantezza o agitazione, di cibo in prevalenza sattvico. Tutti sanno cosa succede se si mangia una pizza mal cotta o se si prendono troppi caffè, infatti mentre di Tamas e di Rajas si potrebbe fare a meno, dell’elemento Sattva si può mangiare in quantità, rischiando solo di aumentare in saggezza o di avere un aspetto migliore.

Secondo lo Yoga ogni cibo ha un certo livello di vibrazione, quindi possiede una certa energia i cui effetti si possono manifestare sia a livello del corpo che della mente. I cibi sattvici sono quelli tipici del veganismo, ma sono ammessi certi tipi di latticini, quindi semi e frutta secca, verdura fresca, noci e cereali. I cibi Rajasici sono tutte le bevande gassate, il tè, la cioccolata e naturalmente il caffè, insomma gli eccitanti in generale. Gli alimenti con prevalenza tamasica sono: al primo posto c’è la carne, e poi le uova e i suoi derivati, il tabacco, le droghe in generale.

Siccome non tutti i cibi vibrano ad una frequenza “elevata”, mangiare certe cose può condizionarci. Se si eccede in cibo rajasico, assumendo alimenti troppo caldi, troppo speziati, salati o acidi, perderemo la calma, la nostra mente sarà agitata. Se ci ingozziamo di alimenti in prevalenza tamasici rischiamo di appassire, perdiamo di forza, deperiamo, diventiamo pessimisti, insomma entriamo nel tunnel Baudelaireiano di Spleen.

Gli alimenti di tipo Sattvico ci garantiscono un’ottima salute perché provengono dal regno vegetale e hanno una frequenza d’onda più elevata. Naturalmente si potrebbe stilare un lungo elenco dei benefici di una alimentazione vegana sul tono dell’umore, altrimenti basterà fare una prova su sé stessi, ma c’è un aspetto più sottile e che spesso s’ignora sul tema della correlazione tra cibo e stati d’animo.

Facciamo un esempio, supponiamo che una persona, che regolarmente mangia male, dopo la solita abbuffata scopra di aver vinto una cifra enorme al super enalotto, secondo voi sarà preda della solita sonnolenza o salterà come un grillo? Per opposto una persona che segue una perfetta dieta vegana che è costantemente reattivo, dinamico e fiducioso di sé scopre all’improvviso che la donna che ama da tempo lo tradisce, pensate che liquiderà la disperazione bevendo un succo di carota?

Esaminando il problema dal lato opposto, si nota come elementi esterni che non sono cibo possono modificare le funzioni fisiologiche, tanto che una brutta notizia ci fa svenire o all’opposto innamorarsi rende gli occhi luminosi.

Usiamo come argomento di discussione gli esperimenti di Masaru Emoto sui cristalli d’acqua. Secondo lo scienziato giapponese i cristalli dell’acqua acquisiscono una certa configurazione a seconda dell’ambiente in cui si trovano, così se una bottiglia d’acqua è stata lasciata in un ambiente di dolore i cristalli, una volta congelati ed osservati al microscopio avranno una configurazione asimmetrica, come dire brutta. Per opposto, i cristalli di un’acqua che ha assorbito le influenze di un ambiente positivo saranno simmetrici. Se si accetta che l’acqua abbia una sua memoria e si pensa che l’uomo è costituito per la maggior parte di acqua, allora anche l’uomo subisce la stessa sorte. La critica più comune con la quale la comunità scientifica discredita Emoto è la non ripetibilità dei suoi esperimenti. Per i non ortodossi questo non significa niente, anzi è la prova che Emoto riesce a fissare sui cristalli la natura delle emozioni nella loro mutevolezza. Se l’acqua forma dei cristalli più o meno armonici, a seconda che sia stata in luoghi brutti o belli, significa che noi beviamo felicità o tristezza e rischiamo di nutrirci di paura.

Esiste un arco sostenuto da due colonne, una è il corpo e l’altra è tutto ciò che non è corpo, perché se è vero che il peperoncino migliora la digestione, fare meditazione può avere lo stesso effetto, infatti quando la mente si calma, si calma anche il corpo e quindi si rilassano i muscoli dello stomaco e la digestione migliora. Allora bisogna intervenire su entrambe le colonne che costituiscono l’arco della corretta alimentazione, cioè della felicità. Ma come? In che modo possiamo capire se dobbiamo migliorare l’ascolto del nostro corpo o se, a causa di una forte sensibilità, rischiamo di diventare passivi verso gli eventi della vita?

Esiste l’uomo con il suo mondo interiore e l’ambiente esterno, in questo calderone si miscelano, in diverse quantità, gli elementi che generano il nostro manifestarsi nel mondo, attimo per attimo, quindi, per mille motivi, ci possiamo trovare in una certa condizione, ma le possibilità alla fine sono solo quattro. Stiamo bene dentro e fuori, stiamo bene dentro ma male fuori, stiamo male dentro e bene fuori o ahimè, stiamo male dentro e fuori.

Se respiriamo bene, dormiamo bene, abbiamo tempo per noi stessi e siamo in pace con la gente che frequentiamo, allora siamo nella condizione che dovrebbe essere quella normale. Se siamo in pace con noi stessi ma la vita ci da contro, allora stiamo bene con noi ma ci relazioniamo male con i fatti del mondo. Se soffriamo di mal di pancia, allergie e acciacchi vari, ma andiamo a lavorare tutti i giorni con soddisfazione e successo, è chiaro che stiamo male dentro e bene fuori. L’ultimo caso, non serve dirlo, è quello di una persona malata che somatizza del mondo esterno solo il peggio.

Ora, alla luce di quanto detto, e considerando che le quattro categorie sono solo una semplificazione e che tutto è in movimento, in questo momento, noi in quale delle quattro categorie ci collochiamo? Cosa stiamo facendo per tendere a quella sana normalità, che è il punto di partenza per affrontare con serenità la giungla quotidiana, che ci aspetta appena dopo esserci allacciati le scarpe?

Stefano Catini

Leave a comment

Lascia un commento

Your email address will not be published. Required fields are marked (required)