Abhinavagupta

Nella casa divina del corpo, v’adoro, mio Dio e mia Dea, giorno e notte! V’adoro lavando di continuo il fondamento terrestre con gli spruzzi dell’essenza del mio stupirsi! V’adoro con gli spontanei fiori spirituali che esalano innato profumo! V’adoro con la preziosa urna del cuore, colma d’ambrosia, beatifica, giorno e notte”! (Abhinavagupta)

Abhinavagupta, eminente filosofo, esteta e santo fu uno dei più importantiAcharya (Maestri) del Monismo Shivaita. Della sua vita, dedita allo studio e all’insegnamento, poco sappiamo se non quanto egli stesso dice in alcune sue opere come il Tantraloka e il Paratrimshika Vivarana. Visse in Kashmir nell’XI sec., un suo avo era un famoso Bramino, grande maestro Shivaita e discepolo di Kanauj, invitato in Kashmir da re Lalitaditya.

Dunque Abhinavagupta nacque in una famiglia dalla lunga tradizione di devoti Shivaiti. Suo padre Narasimhagupta e sua madre Vimalakala ebbero una grande influenza sulla sua vita, e si crede che entrambi si sottoponessero a severe austerità per meritare un figlio straordinario dotato di poteri spirituali.

Tradizionalmente ritenuto Yoginibhu (figlio di una Yogini), padroneggiava materie quali metafisica, poesia ed estetica in età molto precoce. Possedeva gli otto poteri dello Yoga indicati dai Shastra. I suoi biografi testimoniarono il suo possesso dei sei grandi segni spirituali, come descritti nel Malinivijayotara Shastra.

L’epoca che va dal X all’XI sec. fu tra le più travagliate del paese. Le cronache del Kashmir ci parlano di complicate vicende di successione, intrighi di corte, della rapacità degli esattori fiscali, della tracotanza dei bramani, dell’astuzia delle cortigiane, della prepotenza dei grandi signori. Se il X sec. fu dominato dalla figura inquietante della regina Didda, devota, intrigante e crudele, il secolo successivo non fu meno agitato, turbato da disordini interni e, all’esterno, dalla minaccia dell’invasione islamica. Come spesso accade in India, le turbolenze esterne non rompevano la quiete degli ashram: i filosofi e gli yogin non si curavano molto delle vicende mondane.

Nonostante la situazione del paese, Abhinavagupta, rispetto ai suoi contemporanei dell’India settentrionale, fu un privilegiato, che, sull’esempio dei suoi predecessori, poté svolgere tranquillamente i suoi studi e i suoi riti fino alla morte, avvenuta forse nella seconda decade del Mille.

Ecco come egli stesso narra brevemente la sua biografia: “Figlio di Varahagupta, il Beato, il cui capo è ornato dalle onde del fiume divino, fu Narasimhagupta, comunemente noto col nome di Cukhalaka. Il suo intelletto era puro come la luna e la sua mente, resa splendente da una [continua] immersione nell’essenza delle sacre scritture, straordinariamente ornata dalla devozione a Mahesvara. Il figlio di costui, noto col nome di Abhinavagupta, è purificato dal polline dei loti dei piedi di Shiva. La madre lo lasciò mentre era ancora bambino. Il destino, infatti, ci tempra in vista dell’opera futura. Dal padre egli fu introdotto alla grammatica. Le gocce spruzzate dalle onde del mare della logica (tarka) purificarono la sua mente senza macchia, e , con veemenza, egli si dedicò a gustare il rasa (sapore) della letteratura. La devozione a Mahesvara, come un’ebbrezza, s’impossessò spontaneamente di lui. Tutto compreso nella divinità, egli non prese in considerazione nessuna attività mondana, e la sua unica cura, per rafforzare tale sua esperienza religiosa, fu di prestar servizio nelle case di [numerosi] maestri”. Tra questi i più importanti furono l’erede e discepolo di Uptaladeva, Laksmanagupta, che gli fu maestro nella dottrina del Riconoscimento; Shambhunatha, un seguace della corrente tantrica del Kula, sotto il quale apprese soprattutto i segreti della ritualistica e dei vari mezzi di realizzazione pratica; Bhutiraja, che gli fu, a quanto pare, maestro nella scuola Krama, una corrente tantrica originaria dell’Uddiyana; Bhaskara, col quale si ricollega alla cosiddetta scuola dello Spanda, che risale a due grandi maestri del Kashmir, Vasugupta e il suo discepolo Kallata; Bhatta Tauta, sotto cui apprese la retorica e la poetica. Altri maestri sono citati nel Tantraloka.

Abhinavagupta continua parlando di se stesso: “La sua devozione gli attirò il favore di tutti loro, i quali gli trasmisero le loro specifiche competenze, in un modo insieme chiaro e piacevole, insegnandogli intelligentemente l’essenza delle scritture. Egli, da parte sua, rifuggì [sempre] dalla compagnia delle persone indegne. Di conseguenza, trascorse vita solitaria, devoto alla ricerca della verità. Ed ecco, mentre era intento a favorire il fratello Manoratha, devoto anch’egli a Shiva e studioso di tutte le scritture, fu visitato da alcune persone, che si fecero suoi discepoli. Questo gruppo di discepoli gli domandò insistentemente: Ed egli accolse il loro desiderio”.

La fama di Abhinavagupta fu pari in vita e in morte. Il ritratto che di lui ci ha lasciato un suo contemporaneo, Madhuraja Yogin, che lo vide e ascoltò di persona, è un documento interessante della venerazione con cui in India sono stati sempre circondati i maestri, vere e proprie immagini della divinità: “Possa il glorioso Dio Dakshinamurti nella sua forma di Abhinava, il quale è un’incarnazione di Srikantha ed è disceso qui nel Kashmir, mosso da profonda compassione, possa Egli proteggerci! I suoi occhi vibrano di gioia [spirituale]. Il centro della sua fronte è chiaramente segnato con tre linee, tracciate con la cenere. Le sue orecchie sono ornate da grani rudraksa. L’abbondante capigliatura è legata con una ghirlanda di fiori e lunga è la barba. Il corpo è roseo e scuro invece il bel collo, spalmato d’unguento odoroso. Il lungo sacro cordone gli pende liberamente e seriche sono le sue vesti, candide come i raggi della luna. Egli è assiso su di un molle cuscino nella postura yogica che toglie il nome dagli “eroi”, su di un trono d’oro sovrastato da un baldacchino ornato di perle. Il padiglione dov’egli risiede, nel bel mezzo d’un vigneto, è tutto splendente di cristalli, abbellito da pitture, pieno di effluvi delle ghirlande di fiori, degli incensi e delle lampade, tutto olezzante di sandalo e via dicendo, costantemente risonante di musiche vocali e strumentali, affollato da gruppi di Perfetti e di yogin. Intorno a lui, assisi ai suoi piedi, sono i discepoli, occupati a trascrivere, concentrati, tutte le sue parole. Ai suoi lati sono in piedi due “adiutrici”. Nella destra esse hanno una coppa piena di vino e una scatola di betel rispettivamente, e, nella sinistra, un loto e un frutto di limone”.

Abhinavagupta ha sintetizzato e unificato i rami della tradizione shivaita. Quest’ultima è stata trasmessa per molti secoli solamente da Maestro a discepolo, “da bocca a orecchio”. La prima opera, attribuita a Vasugupta, s’intitola Shiva Sutra, una raccolta di aforismi lapidari assolutamente ermetici. Vasugupta afferma di non essere l’autore dell’opera, ma di averla trovata incisa su una roccia emersa dall’acqua, nella quale è di nuovo sprofondata, subito dopo che egli aveva

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terminato di leggere e memorizzare quanto vi era scritto.

Lo Shivaismo del Kashmir fu classificato da Abhinavagupta in quattro sistemi: Krama (“procedimento”, “serie”, “successione ordinata”) Spanda (“suprema vibrazione creatrice”), Kula (“stirpe”, “discendenza”) e Pratyabijnya (“dottrina del Riconoscimento”). Krama tratta dello spazio e del tempo, Spanda del movimento, Kula della scienza della totalità e Pratyabijnya della scuola del Riconoscimento (il “Riconoscimento di Shiva” è la dottrina della realizzazione spirituale Shivaita).

L’attività letteraria di Abhinavagupta si è espressa: a) in opere di carattere specificatamente religioso o mistico, b) in opere prevalentemente speculative e c) in scritti di retorica e drammaturgia. Egli rimane unico per la sua magistrale sintesi realizzata su tutte le visioni e le teorie del suo tempo, offrendole da una prospettiva più ampia e profondamente spirituale.

Il Tantraloka, l’opera religiosa più importante di Abhinavagupta, unifica tutte le apparenti differenze tra le scuole dello shivaismo cashmiriano, offrendo una visione coerente e completa del sistema. Lo scopo di questo lavoro (come dice Abhinavagupta stesso) è quello di esporre “la verità sui Tantra, secondo la logica e la tradizione. Guidati dalla luce che essa emana, i devoti potranno con facilità orientarsi nei riti”. Tutti i Tantra sono considerati come testi rivelati direttamente dalla divinità, tuttavia non appartengono ad un’unica scuola, né rappresentano un solo indirizzo di pensiero. Culti diversi e per certi aspetti inconciliabili, come quello shivaita, quello buddista e quello vishnuita vantano i loro Tantra. Ma l’unico denominatore comune in tali scritture consiste nello scopo in esso dichiarato, che è uno: offrire agli uomini un mezzo più adeguato e diretto per arrivare a conseguire quei poteri soprannaturali o “perfezioni” (siddhi), o la liberazione definitiva dall’illusione dell’esistenza fenomenica. L’opera di Abhinavagupta si presenta come una gigantesca summa del sapere esoterico in cui si tratta in maniera dettagliata di ogni possibile aspetto della via tantrica verso la liberazione: dalla natura onnicomprensiva della coscienza, alle pratiche yogiche connesse con il respiro e il “divoramento del tempo”; dal risveglio dell’energia kundalini alla natura e all’uso dei mantra; dalla preparazione ai mandala alle varie specie di iniziazione; dalle “cadute di potenza” con cui la Grazia Divina si manifesta nell’adepto; dai modi per valutare le caratteristiche di un guru; dai riti sessuali ai metodi che permettono di attingere l’universale pulsazione della coscienza.

Si dice che Abhinavagupta sia stato una manifestazione di Shiva e, secondo una leggenda, pare che, ad un certo punto, si sia recato, insieme ad un numeroso gruppo di discepoli, in una grotta a meditare, senza più fare ritorno.

Insegnante Yoga Nelsi Zavarelli