Sri Aurobindo

«Ciò che colpiva in modo particolare coloro che incontravano Sri Aurobindo, non era tanto la sorprendente luce dei suoi occhi… ma quell’immobile immensità che si afferrava, così compatta, così densa, come se si penetrasse in un infinito tangibile» (Satprem)

Sri Aurobindo nacque a Calcutta il 15 Agosto del 1872. Poiché la madre si ammalò, a soli 5 anni entrò in un collegio inglese insieme ai suoi tre fratelli per volontà del padre, medico affermato che, dopo aver conseguito gli studi Inghilterra, ne tornò fortemente anglicizzato e con l’idea che i suoi figli non avrebbero mai dovuto essere “contaminati dal misticismo fumoso e retrogrado” che aveva, secondo lui, portato l’India alla rovina.

Era talmente convinto di questa sua idea al punto che fece in modo che i suoi figli non conoscessero nulla delle tradizioni indiane, né della cultura. Per ciò che riguarda la religione, il padre decise di non far impartire ai suoi figli alcuna educazione religiosa ritenendo che fosse giusto che ognuno di essi, una volta cresciuti, potessero fare la scelta che consideravano più consona alle loro tendenze e aspirazioni.

Aurobindo aveva doti intellettuali eccezionali, di gran lunga superiori alla media. I docenti universitari che ebbero modo di valutare le sue qualità lo considerarono addirittura geniale. Padroneggiava le più importanti lingue europee, aveva capacità straordinarie in greco e latino, imparò il sanscrito, il bengali, il gujarati, l’hindi, il tamil, il marathi, studiò e imparò il tedesco e l’italiano anche al fine di leggere autori come Goethe e Dante in lingua originale. Per le sue capacità straordinarie poteva ambire a raggiungere i più alti livelli amministrativi del regime coloniale inglese, come avrebbe voluto suo padre. C’era un solo esame a separarlo dall’inizio di una carriera prestigiosa che avrebbe certamente potuto intraprendere, ma fece due sogni che cambiarono totalmente la sua vita. In uno si vide imperatore dell’India, nell’altro gli apparve la figura di un sannyasi, traduzione letterale del termine: “rinunciante”, con un tridente in mano, che gli rivelò unmantra. Poi si svegliò, e da quel momento la sua vita cambiò completamente. Il 12 Agosto del 1892, a venti anni, Aurobindo lasciò l’Inghilterra dove non tornò mai più e si recò in India. Non appena poggiò i piedi sulla sua terra natale si sentì pervadere da una profonda calma che lo accompagnò per mesi. Da quel momento visse esperienze spirituali spontanee straordinarie. A ventinove anni si sposò. Sua moglie aveva quattordici anni e, oltre alla grande differenza di età che c’era fra i due, a determinare il destino difficile di una simile coppia fu l’imparità intellettuale e l’assenza continua di un marito la cui genialità lo portava ad avere interessi che spaziavano in tutti i campi, tutto questo, ovviamente, a scapito della formazione di una famiglia.

Aurobindo scrisse alla sua giovane moglie una lettera in cui le diceva: “Ho tre stranezze: la prima è che sono convinto che tutte le virtù, tutti i talenti, l’ottima educazione, il sapere e la ricchezza che Dio può avermi dato appartengono a Dio. Io ho il diritto di trattenere solo ciò che è necessario per il mantenimento della famiglia e ciò che è assolutamente indispensabile. Ciò che è superfluo deve essere restituito a Dio. La seconda è che devo assolutamente, in qualche modo, fare un’esperienza diretta di Dio e troverò la via per realizzare la Sua presenza. La terza è questa: mentre molti considerano la patria un oggetto inerte, io considero la mia terra come una madre, la onoro e la prego come madre. Non posso restare a guardare mentre la madre viene oppressa e defraudata della sua libertà. Io combatterò, non con le armi ma con il sapere, e la salverò”. Sri Aurobindo mise in atto ciò che disse e si impegnò con tutte le sue forze e le sue energie nel movimento per la liberazione dell’India dalla potenza coloniale inglese. Come editore ebbe un ruolo decisivo nella creazione di una nuova coscienza nazionale e certamente contribuì alla nascita, in India, di una coscienza rivoluzionaria. Il nucleo rivoluzionario di cui era promotore si basò dapprima sulla non-cooperazione e sulla resistenza passiva, ma non come unico mezzo. Sri Aurobindo credeva fermamente che un’azione di forza fosse talvolta necessaria per raggiungere lo scopo, soprattutto quando è finalizzata alla tutela della libertà di un popolo. Egli prese una posizione ben determinata anche durante la seconda guerra mondiale, essendo fermamente convinto che quando chi hai di fronte agisce per servire le forze demoniache, come nel caso del nazismo, non c’è spazio né per il dialogo politico, né per un tentativo di risvegliare la coscienza, la coscienza dell’avversario: puoi solo rispondere con un’azione di forza drastica, vissuta con coraggio, consapevolezza e determinazione.

Essendo estremamente attivo e presente in ogni azione realizzata dal movimento nazionalista indiano, e di conseguenza anche particolarmente esposto, il 4 maggio del 1908 venne arrestato e chiuso nella prigione di Alipur.

Ciò determinò l’inizio di un cambiamento radicale nella vita di Sri Aurobindo: quello da combattente per la libertà a maestro spirituale. In prigione i suoi accusatori si rivelarono essere i suoi vecchi compagni di studio, che lo stimavano moltissimo e che cercarono di fare il possibile per farlo uscire al più presto.

Il periodo della prigionia fu interamente dedicato all’approfondimento della meditazione, e in questo fu sostenuto ed aiutato dal pensiero del “grande figlio dell’India”, Vivekananda, che percepiva fortemente come presenza costante nel suo essere; man mano il suo spirito si colmava di tacita beatitudine e la voce di Vivekananda diventò la voce di Dio, che Sri Aurobindo riusciva ad ascoltare chiaramente nel suo essere…per Grazia Divina, egli ricevette il dono di vedere Dio in ogni cosa, in ogni situazione, in ogni essere. Il 6 Maggio del 1909 venne scarcerato ma il governo inglese controllava ogni sua mossa e tutto ciò che scriveva, allora decise di recarsi in un luogo dell’India ove non fosse presente l’influenza britannica; abilmente, fece perdere le sue tracce. Andò a Pondichérry e lì restò fino alla fine dei suoi giorni.

E’ possibile affermare che il periodo della prigionia abbia reso Sri Aurobindo un iniziato. Tuttavia esiste una figura che può essere identificata come il suo maestro, si tratta di Vishnu Bhaskar Lelé, molto noto per le rigide condizioni che imponeva a chi volesse diventare suo allievo. Aurobindo le accettò e in brevissimo tempo superò il maestro. Lelé gli disse: “Mettiti seduto, guarda e vedrai che i tuoi pensieri entrano in te dall’esterno. Prima che entrino respingili”. Più tardi Aurobindo spiegò: “Feci esattamente così e nel giro di tre giorni, in realtà di un giorno, la mia mente si ricolmò di un silenzio eterno, un silenzio che è ancora qui”. Il maestro rimase scioccato dalla sua realizzazione, era chiaro che la statura spirituale di Aurobindo fosse di gran lunga superiore alla sua, ma con quel piccolo strumento che gli fornì gli permise di varcare una soglia cosmica e di entrare nella Coscienza Universale. Egli si affidò al Divino, presente in lui stesso fortemente e costantemente, e man mano si andava delineando il sentiero dello Yoga Integrale che avrebbe tracciato, privo di rigide regole, stili o dogmi. Attribuirà allo studio dei testi sacri un’importanza rilevante ma limitata, perché il sadhaka, il praticante, che percorrerà quel sentiero dovrà assumere un’indipendenza dalla verità scritta, formandosi un proprio pensiero al di sopra di tutto ciò che ha letto, che ha udito, che leggerà e che udirà, perché egli non sarà un sadhaka di uno o più libri, sarà un libero ricercatore spirituale, sarà “il sadhaka dell’Infinito”. In virtù di quest’idea di libertà, Aurobindo riteneva inaccettabile la tradizionale concezione del guru come personificazione divina, come se fosse l’unico a detenere la chiave della felicità e del sapere divino, attribuendogli addirittura un’aura di onnipotenza. Egli considerava che il maestro dello Yoga Integrale dovesse avere “semplicemente il ruolo di “bambino fra i bambini”, un essere che non avanzi mai la pretesa di essere un guru per orgoglio umano o per un miglioramento personale. Egli dovrà essere consapevole che se gli è stato affidato un compito gli è stato affidato dall’alto, e che egli è pertanto un canale, un rappresentante, è un uomo che aiuta i suoi fratelli, una luce che accende altre luci, una potenza o una presenza di Dio che chiama a sé altre potenze di natura divina”.

Sri Aurobindo attribuisce dunque la definizione di Yoga Integrale alla via che intende tracciare. Si tratta di un’integrazione di tutte le forme tradizionali di Yoga vissute con una nuova apertura, ad un livello superiore. Egli affermava: “Le tradizioni del passato sono molto significative nel loro luogo e nel loro tempo, nel passato, ma non ha senso ripeterle pedissequamente e non andare avanti. Nello sviluppo spirituale della coscienza sulla Terra, ad un grande passato dovrebbe seguire un futuro ancora più grande”. Quello insegnato da Aurobindo può essere definito lo Yoga della libertà individuale, della responsabilità personale e dell’assenza di dogmatismo. Tre concetti dovevano essere ben chiari:

1 – Lo Yoga non deve essere una fuga dal mondo, ma una trasformazione del mondo.

2 – La realizzazione personale e la realizzazione della Terra devono andare di pari passo

per arrivare ad una comunione cosmica.

3 – Sui vecchi, tradizionali, cammini yoga si deve percorrere un sentiero nuovo.

Sri Aurobindo considerava la pratica dello Yoga come una vera e propria “avventura spirituale”. Al centro di questa nuova avventura esisteva il concetto di “discesa”.

Fino a quel momento, lo yoga tradizionale aveva posto al centro l’idea di “salita”: in primis la salita, l’ascesa di Kundalini, l’energia misteriosa che giace addormentata alla base della colonna vertebrale, a livello di ogni Chakra fino al Chakra sacro della corona. Aurobindo considerava l’ascesa e la sublimazione delle energie più grossolane come un’utile preparazione individuale a ricevere qualcosa di nuovo, di sacro, di superiore. Sulla base di questo principio esistevano tre condizioni necessarie che consentivano la “discesa” nell’essere di questa “nuova” Forza Divina: la prima è lo stato di abbandono e di apertura; la seconda è la fiducia e la capacità di affidarsi alla Potenza Superiore; la terza è il farsi da parte lasciando agire liberamente questa Forza nel proprio essere senza ostacolarne il cammino. Lo scopo finale dello Yoga Integrale consisteva nella divinizzazione eterna dell’essenza individuale: la rivelazione del Sé, l’esperienza diretta del Divino nella propria natura, che consente di realizzare l’unità spirituale di tutto il creato. Essendo un abile scrittore, descrisse in modo estremamente dettagliato tutte le tappe e i passaggi fondamentali da compiere per avanzare sul sentiero spirituale dello Yoga Integrale.

Un ruolo fondamentale nella vita e nel lavoro spirituale di Sri Aurobindo lo ebbe la cooperazione con Myra Alfassa, una donna di cultura di origini francesi che in seguito egli chiamò Mère, la Madre. Lei fu il “corpo vivente” dell’esperienza dello Yoga che Aurobindo andava sperimentando, in particolare lo “Yoga delle cellule”, che consisteva nella progressiva e costante “coscientizzazione” delle cellule del corpo al fine di accelerare il processo evolutivo. Mère proseguirà con abnegazione e dedizione esemplari il lavoro di Aurobindo dopo che questi ebbe abbandonato il piano fisico nel 1950. Insieme diedero inizio al progetto Auroville, che però fu messo in atto nel 1968. La città venne costruita a Pondicherry, ex colonia francese, nel Tamil Nadu, ed ha la forma di una galassia a spirale. Essa comprende quattro settori a raggiera (la zona internazionale, quella culturale, quella industriale e quella residenziale) e una fascia verde (Green Belt) che la circonda. Auroville, in continua espansione, al momento annovera circa 1.800 residenti provenienti da circa 35 paesi, che vivono in più di cento insediamenti di diverse dimensioni e caratteristiche. Auroville è il luogo del sogno, dell’idea che l’umanità intera possa vivere senza impedimenti come le proprietà o il denaro. E’ il luogo dove tutta la natura è rispettata, dove si coltiva secondo i principi della biodinamica, dove tutti i veleni sono banditi. Dove ogni pianta, albero o foglia è curata come fosse un bambino. Ad oggi, il sogno di Auroville compie 40 anni. Riconosciuta dall’ Unesco e dal Governo indiano è in continua fase di accrescimento, in un’area, che negli ultimi anni sessanta veniva descritta come in “un avanzato stato di desertificazione”. Furono piantati decine di migliaia di alberi e di arbusti (per essere precisi, oltre 2 milioni) ed incominciò il controllo dell’erosione, con il risultato che l’area ora offre un paesaggio verde e parzialmente coperto di foreste. Parallelamente a questo lavoro, è stata data importanza allo sviluppo dell’uso di appropriate tecnologie non inquinanti e di sistemi di produzione di energia auto-sostenibile.

Studioso, rivoluzionario, filosofo, veggente, saggio, poeta, umorista, Aurobindo fu un capo carismatico e un uomo geniale; i suoi occhi e il suo sguardo intenso e profondo comunicavano un senso di forza, di coraggio, di determinazione e di Amore ineguagliabili. Sri Aurobindo ha tracciato un sentiero di realizzazione spirituale fondamentale per la storia dell’umanità. A coloro che gli domandavano quali caratteristiche fossero necessarie per riuscire a progredire sulla via spirituale rispondeva in questo modo: “L’Amore, l’umiltà e il coraggio sono le uniche virtù indispensabili; esse manterranno viva l’anima anche se tutte le altre dovessero momentaneamente addormentarsi…lascia che il Divino si manifesti nel tuo essere, ascolta la Sua voce e conduci una Vita Divina”.

Insegnante Yoga Lara Fioretti