Accettazione (I)

ACCETTAZIONE – LA VIA PER LA CONOSCENZA INTERIORE

“Concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio per cambiare quelle che posso e la saggezza per riconoscerne la differenza”. (San Francesco)

L’accettazione, se guardata con superficialità, potrebbe essere confusa con una sorta di passività che lascia fare tutto e non si stupisce di niente. In questo senso potrebbe essere considerata una manifestazione dell’accidia, un vigliacco non voler fare mascherato da parole gentili e leggere. Cos’è in realtà l’accettazione che, nonostante tutti i malintesi, lascia intravedere la sua potenza? Cercando il verbo accettare nel dizionario etimologico si scopre che accettare deriva dal verbo latino “capere”: ricevere con gradimento e dimostrarlo.

Così, facendo riferimento alle origini del verbo, si scopre che l’accettazione nasconde un lato attivo. Se in cambio a quel che si è ricevuto si dimostra gradimento, l’accettazione non è solo indolenza. In realtà, l’accettazione non è sconfitta o sottomissione ma l’atto supremo di libertà che svincola l’essere dalle contingenze. Ciò che è viene preso in tutta la sua cruda interezza e poi viene dato qualcosa in cambio: si dimostra gradimento. L’accettazione nel suo senso profondo e mistico è il processo alchemico della trasformazione del male in bene, la fusione dello yin e dello yang: a braccia aperte lascio che la verità si manifesti in me e poi con la forza attiva dell’osservazione cosciente trasformo questa energia in amore. 

Quanto è difficile accettare? Chi riesce ad accogliere davvero la terribile verità della sofferenza? Chi è disposto a vivere questa esperienza in tutte le cellule del proprio corpo rimanendo con lo spirito puro rivolto verso la bellezza di Dio? L’accettazione è un processo più profondo di quello che riusciamo ad immaginare. La croce fa paura perché è uno strumento di tortura ma è anche il legno che fa ardere la passione di Cristo. La croce, che diventa luce, è il simbolo supremo della resurrezione del mondo. È il riassunto simbolico dell’esistenza: il verticale che incontra l’orizzontale così come lo spirito che incontra la carne nel punto in cui gli assi si intersecano. Accettare nel senso profondo del termine implica un grande coraggio. L’alchimia dell’accettazione trasporta l’essere nel centro, lì dove vengono rivelati tutti i misteri dell’esistenza.

Dentro di noi abbiamo un’Ombra: un tipo molto cattivo, molto povero, che dobbiamo accettare”. (Carl Gustav Jung)

Non si può vivere improvvisamente la sofferenza del mondo e accettarla perché ne verremmo schiacciati. Il processo dell’accettazione può iniziare dall’osservazione di noi stessi, delle parti che meno ci piacciono e che tendiamo a nascondere. Si deve essere in grado di accettare le emozioni e i pensieri negativi che ci attraversano. La nostra realtà interiore deve quindi essere esaminata nelle sue parti più oscure, bestiali, putride. La sincerità verso se stessi può essere molto dolorosa, ma è necessaria. Solo così saremo poi in grado di abbracciare con compassione i demoni che ci abitano. Si deve comprendere in profondità che noi non siamo l’ombra ma che allo stesso tempo non ne siamo separati. Se osservata con lucidità, l’ombra, ci può fornire l’energia grezza per andare verso il divino. Bisogna saper osservare la propria ombra con interesse antropologico: bisogna in altre parole scrutarla senza sensi di colpa o paure. Nessuno ha fatto niente per meritarsi la propria ombra, è semplicemente la manifestazione del dramma della condizione umana e tutti noi la condividiamo. D’altra parte l’ombra smette di far paura nel momento in cui proviamo compassione per lei. Nessuno sfugge all’ombra e chi non l’ha mai incontrata è perché non ha ancora la forza di accettarla e quindi non le viene rivelata.

Accettare vuol dire anche prendere coscienza dell’inevitabilità del cambiamento e saperne apprezzare l’armoniosa danza. Chi non vive nella perfetta accettazione della realtà rischia di rimanere attaccato a situazioni piacevoli ormai presenti solo nella memoria perdendosi così la verità del momento. Accettare il cambiamento vuol dire trovare in ogni istante lo stesso amore anche se le circostanze possono essere totalmente diverse. Vuol dire anche osservare come noi stessi cambiamo nel tempo eppure, nel nostro centro, restiamo sempre uguali.

Accettare davvero è quindi la strada maestra che porta verso la conoscenza di se stessi e di conseguenza del mondo. Accettare i nostri limiti è il primo passo per superarli. Confessare a noi stessi le nostre bassezze è il primo passo per andare verso un’elevazione interiore. Accettare la sofferenza è il primo passo per trascenderla. Vedere che le cose non sono come vorremmo è il primo passo che ci spinge a costruire la realtà che realmente desideriamo. Accettare che gli altri siano diversi da noi è il primo passo verso la ricongiunzione con noi stessi e capire che in realtà gli altri sono solo specchi. Se si accetta davvero che la strada può essere in salita la bellezza si manifesterà anche quando siamo stanchi. L’accettazione è l’atteggiamento che, mantenuto nel tempo, piano piano ci conduce alla verità.

TERRA ovvero L’ETERE – “Terra, raccontami di quella volta che hai inghiottito un uomo insieme a tutti i suoi fratelli e lo hai reso felice. Dei vermi che si materializzano nelle mele marce e buone. Raccontami del deserto senza oasi che è dorato e del fondo del pozzo così profondo che la luna non lo trova. Dimmi come si fa a essere dolce come il profumo delle rose al cimitero. Fai nascere le more spontanee al centro del bosco nel bel mezzo dei rovi spinosi e vicino l’ortica. Quanto pesa la mia inutile fatica? Il tuo abbraccio di pace dopo avermi strozzato; il sangue che sgocciola in rivoli sulle cosce e ti desidera. La digitale purpurea che sboccia come un cuore in piena e le radici che fissano quei giganti a terra, i palmi aperti verso il cielo. Culli la pioggia se capita una tempesta e lasci che il bastone di chi cammina ti calpesti perché niente per te pesa. Se lì sotto c’è il demonio lo vedo stringere le mani a Dio. Raccontami di come nelle viscere tutto a te ritorna e ti trova chissà in quale forma”.

Michela

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