Yoga Swami

Sono rari gli esseri che hanno raggiunto lo stato eccezionale di liberazione in vita (JIVANMUKTI). Uno di questi realizzati è vissuto nel Nord dello Sri Lanka per oltre 90 anni ed è conosciuto con il nome di Yoga Swami.

Egli ricevette presto la sua istruzione in una scuola missionaria cristiana ed acquisì una buona conoscenza dell’inglese. Dopo gli studi lavorò per qualche anno come magazziniere nel Dipartimento di irrigazione, a circa 40 miglia a sud di Jaffna. Durante quel periodo incontrò il suo Guru:Chellappa Swami. Yoga Swami abbandonò subito il proprio lavoro e tutto il resto per seguirlo.

Chellappa Swami era davvero particolare. Non faceva nulla, ma vagava come gli piaceva, vestito di stracci e chiedendo l’elemosina. La maggior parte della gente pensava che fosse pazzo, perché spesso gettava pietre e insultava coloro che cercavano di avvicinarlo. Solo pochi esseri ebbero la purezza della mente e del cuore e la comprensione per percepire la sua vera grandezza, e scoprire la ricchezza illimitata che era in suo potere elargire. Yoga Swami fu uno dei pochi fortunati. Spesso fu messo a dura prova e cacciato via dal Maestro, ma resistette a tutto grazie alla sua sete di verità.

Sembra che Yoga Swami sia rimasto col suo Guru solo per pochi anni. Ad un certo punto, quest’ultimo lo mandò via dicendogli: “Stai sulle tue gambe!” Si racconta anche che quando si recò a fargli visita nelle ultime fasi della sua malattia, Chellappa Swami non gli permise di entrare nella capanna in cui si trovava, ma dall’interno gridò “Resta fuori e guarda!”

Negli anni successivi e immediatamente precedenti all’entrata del suo Guru nel Mahasamadhi, visse sotto un albero a Columbuthurai, vicino alla città di Jaffna. In questo periodo sembra che abbia praticato severe austerità e seguito nel comportamento esteriore l’esempio del Maestro, scacciando coloro che cercavano di avvicinarsi a lui.

Man mano che sempre più devoti gli si radunavano intorno, moderò il suo atteggiamento austero, e si lasciò convincere ad occupare una piccola capanna nel giardino di una casa vicino all’albero sotto il quale aveva vissuto. Vi rimase per il resto della sua vita. I devoti andavano lì a trovarlo per essere aiutati nei loro problemi, di solito al mattino presto e alla sera.

Dato che la maggior parte dei suoi seguaci era indù, i suoi insegnamenti erano espressi soprattutto in indù, ma egli era al di sopra di ogni distinzione religiosa. Buddisti, cristiani, musulmani e agnostici andavano da lui per un aiuto e una guida, poiché egli aveva raggiunto le vette in cui le filosofie e le religioni non erano che semplici sentieri. Come un bravo dottore sapeva cos’era meglio per ciascuno dei suoi “pazienti” e modificava le sue “prescrizioni” a seconda dei casi. I suoi insegnamenti comprendevano tutti i sistemi yoga e nello stesso tempo si ponevano al di sopra di essi.

Quasi tutti i suoi devoti erano impiegati in varie occupazioni e, a parte qualche eccezione, raramente li consigliava di abbandonare il loro impiego. Spesso le persone andavano da lui dicendogli di voler rinunciare al proprio lavoro per poter dedicare più tempo alle pratiche spirituali, ma egli non li incoraggiava in questo, poiché riteneva che l’intera vita dell’uomo dovesse essere, di fatto, una pratica spirituale, e non ammetteva distinzioni nell’attività umana tra ciò che è sacro e ciò che non lo è. Alla maggior parte di quelli che lo visitavano, alla fine diceva: “Adesso va’ e fa’ il tuo lavoro”. Egli accordava una grande importanza al lavoro e al lavoro per amore del lavoro, ossia al Karma Yoga. Questo era, come la meditazione su Dio o su ciò che è Reale (Shiva Dhyana), una delle “medicine” che in un modo o nell’altro egli somministrava di frequente.

Non impartiva lezioni e non teneva classi. I suoi insegnamenti venivano dati spontaneamente a chiunque si recasse da lui nella sua capanna o a qualcuno che incontrava apparentemente per caso in un bazar o per le strade, oppure, se un devoto era abbastanza fortunato, Yoga Swami gli faceva una visita a sorpresa a casa sua. La maggior parte di ciò che diceva era destinato di solito ad un particolare individuo, sebbene tutti i presenti ne traessero naturalmente beneficio.

Egli cercava di portare i suoi seguaci alla comprensione che tutta la verità è al di sopra di tutte le forme. Durante la sua intera vita ha fatto di tutto, in modi diversi, per incoraggiare e riproporre la corretta osservanza delle pratiche tradizionali, e ogni sera, al crepuscolo, veniva acceso un lume nella sua capanna – a simboleggiare il fuoco sacro – e venivano cantati in sua presenza alcuni inni devozionali.

Nel 1935 sancì, su richiesta di alcuni suoi seguaci, l’istituzione di un posto nella città di Jaffna per potersi incontrare, e da ciò si sviluppò un centro dove praticare la meditazione, cantare inni devozionali, tenere lezioni di religione e di filosofia e, in generale, svolgere qualsiasi attività utile per la crescita spirituale.

Poiché i suoi seguaci diventavano sempre più numerosi, egli assegnava loro un compito da svolgere e li incoraggiava a tradurre in sanscrito o in inglese alcuni scritti che considerava importanti. Nel 1953 stabilì che dovevano realizzare mensilmente dei componimenti dedicati esclusivamente a temi religiosi, a cui diede il nome di Natchyntanai (Buoni pensieri).

Yoga Swami aveva la fama di essere un chiaroveggente. Inoltre, poteva scomparire da un luogo e riapparire in diversi luoghi contemporaneamente.

Uno dei suoi più intimi amici ha raccontato che tutto ciò che egli desiderava, immediatamente si concretizzava. Per esempio, una volta lo aveva accompagnato a fare una lunga passeggiata in un paese attraversato da molte distese di campi di riso. Yoga Swami, dopo aver sopportato

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la fame e la sete, aveva desiderato casualmente una vettura per poter tornare in città. Appena finito di esprimere quell’augurio, apparvero numerose automobili con i rispettivi conducenti, mandati appositamente ad assistere il sant’uomo. Yoga Swami sollevò le braccia ed esclamò: “È davvero pericoloso per me desiderare!”

In un’altra occasione, una folla lo attendeva alla stazione ferroviaria di Colombo per assistere alla sua partenza, cantando inni e offrendogli ghirlande di fiori. Poiché era in ritardo, un amico lo aveva avvertito di fare attenzione a non perdere il treno. “Non preoccuparti” aveva risposto Yoga Swami, “sicuramente il treno non potrà partire senza di me”. Quella sera ci furono problemi al motore e il treno non riuscì a partire all’ora stabilita. Dopo aver salutato tutti, Yoga Swami decise finalmente di salire sulla sua carrozza e il treno iniziò a muoversi.

Spesso adottava con le persone metodi poco ortodossi, che suscitavano critiche e incomprensioni e turbavano coloro che erano abituati a insegnanti più convenzionali. In questo senso ricordava i maestri Zen. Spesso provava a risvegliare le persone dal loro sonno psicologico sconvolgendole, per questo molti lo guardavano con un misto di venerazione, affetto e timore. Una volta, la moglie di un avvocato, donna devota che aveva la fama di essere molto religiosa, andò a trovarlo per avere una sua benedizione prima di intraprendere un lungo pellegrinaggio. Prostrandosi gli disse: “Swami, cerco la tua grazia, sto per andare a Kataragama” . Yoga Swami la guardò per un attimo e poi le sussurrò all’orecchio. “Cosa, Kataragama? Solo i mascalzoni vanno a Kataragama!” La vecchia signora quasi svenne, e portandosi la mano alla bocca lo guardò sbigottita, senza capire che forse egli aveva visto attraverso il suo ego, oppure con quella frase le aveva trasmesso una profonda verità metafisica.

Yoga Swami ha abbandonato il piano fisico (nel mahasamadhi) nel marzo del 1964.

Alla maggior parte delle persone che lo hanno incontrato mentre era in vita ripeteva quattro frasi (Maha Vakyas):

  1. Tutto è stato perfezionato molto tempo fa.

  2. Non c’è niente di sbagliato in nulla.

  3. Non so niente.

  4. Tutto è verità.

Insegnante Yoga Nelsi