Lo Spirito amorevole del Natale (XII)

Alla domanda che cos’è lo spirito del Natale, d’istinto risponderei che è come colorarsi e illuminarsi con gli stessi addobbi con cui si decora casa, lasciando da parte i grigi toni della vita quotidiana, per concedere al cuore la genuinità dei bambini. Eppure c’è altro: penso al desiderio di stare insieme in armonia, con gioia e affetto. Eppure non riguarda solo noi, c’è qualcosa di più grande ancora. Mi arrovello e penso, mi correggo e cancello quello che digito sulla tastiera… così, riascolto Tu scendi dalle stelle ed è più facile riconoscere l’ampiezza di questo spirito, che non accoglie solo la fratellanza, ma anche la gratitudine per il dono dell’amor divino incarnato nel dolce Bambin Gesù dallo sguardo puro e vitale. A ricordare questa canzone tradizionale che ho cantato tante volte, ora apprezzo il dolce candore di tanto amore: “O Gesù mio,/ perché tanto patir? Per amor mio!/ perché tanto patir? Per amor mio!”.

Il 25 Dicembre è un termine naturale di vita, che gli antichi chiamavano Giorno del Natale del Sole non sconfitto (Dies Natalis Solis Invicti), quando, dopo il prevalere delle tenebre in autunno, il Sole e i suoi poteri benefici ritornavano a contrastare il buio con l’allungarsi delle giornate. Nel Vangelo, questo aspetto ritorna quando Pietro riconosce in Gesù il Cristo: ed egli disse loro: «E voi, chi dite che io sia?» Simon Pietro rispose: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!» Gesù, replicando, gli disse: «Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E anch’io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell’Ade non prevarranno» (cfr. Mt 16, 15-18). In quel “non prevarranno”, c’è proprio l’invincibilità di quel principio solare che anche i pagani conoscevano. Così, la vita del Cristo e quella del Sole sono congiunte per dimostrarci la ciclicità, il ritorno proprio come un dono grande della Natura per la vita. Lo spirito del Natale, allora, diventa una miscela di speranza e attesa di questo ritorno che ogni anno continua a stupirci, quando, guardando il cielo ancora luminoso alle 17, diciamo “le giornate si stanno allungando!”.

Quando ero bambina, invece, il Natale era una cosa più semplice: sapevo cosa aspettarmi, perché tradizionalmente ci saremmo riuniti a casa dei nonni la sera della Vigilia con i familiari materni, per stare insieme dal tardo pomeriggio alla notte. Ci si cimentava da subito nella cucina per preparare cose semplici, intanto la vita affiorava nel vociare dei grandi, che osservavo con l’ardente desiderio di essere coinvolta nella loro convivialità che mi attraeva perché sentivo l’unione, la compassione di quei momenti: erano l’occasione per poter condividere gioie e dolori della quotidianità grazie alla dilatazione del tempo di quella sera della Viglia. La cucina chiusa e calda, la nonna, mamma e Francesco, mio zio, a cucinare mentre un via vai di persone dal salotto, si occupava di sistemare la tavola. Eravamo tanti, ora siamo ancor di più, e dovevamo aggiungere un ulteriore tavolo per poter star tutti seduti per la cena. Così, tra chi cucinava, chi chiacchierava, chi ascoltava, vagavo nella casa dei nonni: mi lasciavo ipnotizzare dai dettagli sempre nuovi del presepe protetto dall’albero colorato e amavo il fatto che le sue composizioni potessero sempre cambiare senza mai tradire l’evento che celebravano. Ricordo un anno, poi, quando nonna ebbe l’idea di rivoluzionare il solito presepe per costruirne uno con delle statue grandi. Decise di riorganizzare lo stesso salotto per poter sistemare il presepe sopra un grande baule ma mancavano alcuni personaggi. Allora, andammo insieme nel centro di Bologna, prendemmo un autobus nel pomeriggio già buio e ci dirigemmo in una piccola bottega per poter acquistare le sculture mancanti. Quella sera l’atmosfera del centro mi sembrava magica, come fosse stata predisposta ad accoglierci durante la nostra commissione.

Mentre la serata della Viglia procedeva, potevo giocare con mio fratello e con i miei zii che sempre ci facevano ridere, cosicché la nostra presenza fosse integrata con quella dei grandi. Ora ci sono molti più pargoletti che vivono con noi, sento di dover fare per loro quello che i miei zii facevano per me e Lorenzo, mio fratello. Altre volte, invece, andavamo fino in Calabria per condividere il Natale con la famiglia paterna. I ricordi di allora sono legati al focolare che veniva acceso la sera per scaldarci ma anche per intrattenerci: sembrava tutti tornassero bambini a guardarlo, come se sentissero per la prima volta il suo calore. Un anno in particolare facemmo una sorpresa ai nonni, non avvisandoli del nostro arrivo… i miei genitori ebbero l’idea di fare trovare davanti alla porta solo mio fratello e me, fingendo che avessimo intrapreso la discesa dello stivale da soli. Quando nonna aprì la porta, ci accolse euforica e gioiosa, il suo profondo amore mi investiva e lo ammiravo, come ancor’oggi. Lei e il nonno risero tanto per lo scherzo, lo ricordano ancora… ci erano cascati con tutte le scarpe! Il Natale calabrese mi affascina perché è come se tutti rientrassimo alla base dai nostri impegni lontani: c’era chi tornava dalla Germania, chi da altre parti d’Italia, tutti per stare insieme e condividere la vita.

Perciò, lo spirito del Natale nasce sempre in contesti di riconciliazione, di condivisione, di ritorno a casa per ricaricarsi e sento che lo spirito del Natale è un’attesa benefica, una mansueta veglia, e la soglia e il Sole, che come neve delicata ricade senza raffreddarmi e mi commuove. Lo spirito del Natale è una grazia, perché c’è Dio ci guida in una totale pace, che riordina tutta la vita senza angoscia. O Signore, rendimi mansueta, perché il cuore si faccia luce attendendo il tuo ritorno, e mite, vestimi con il tuo manto, proteggimi, orientami verso il tuo Amore.

Beatrice