Nessuno può servire 2 padroni!!

«Nessuno può servire due padroni; infatti o odierà l’uno e amerà l’altro, o si legherà all’uno e disprezzerà l’altro»

Mio ascoltatore! Tu sai che nel mondo si parla spesso di un aut-aut; e questo aut-aut suscita grande scalpore, tiene occupate nei modi più diversi persone diverse, nella speranza, nel timore, nell’alacre attività, nell’ansiosa inattività, e via dicendo. Sai anche che in questo stesso mondo si è detto che non esiste alcun aut-aut, e questa sapienza a sua volta ha destato lo stesso scalpore del più significativo aut-aut. Ma qui fuori, nel silenzio presso il giglio e l’uccello, c’è forse qualche dubbio sull’esistenza di un aut-aut? O c’è forse qualche dubbio sulla natura di questo aut-aut? O c’è forse qualche dubbio che questo aut-aut non sia, nel senso più profondo, l’unico aut-aut?

No, qui, in questo solenne silenzio non solo sotto il cielo di Dio, ma in questo solenne silenzio davanti a Dio, non ci può essere dubbio alcuno a riguardo. C’è un aut-aut: o Dio, o… sì, poi il resto è indifferente: qualunque altra cosa un uomo scelga, se non sceglie Dio gli è sfuggito l’aut-aut, egli è perduto per il suo aut-aut. Dunque: o Dio. Vedi, nessuna enfasi viene posta sull’altro, se non in opposizione a Dio, mentre l’enfasi cade infinitamente su Dio. Così è propriamente Dio colui che, essendo egli stesso oggetto di scelta, conferisce tensione alla decisione della scelta fino a farla diventare davvero un aut-aut. Se un uomo potesse, con animo leggero e grave, credere che là dove Dio è presente come unica cosa ci siano in realtà tre cose tra cui scegliere, egli sarebbe perduto, ovvero avrebbe perso Dio, e perciò propriamente non ci sarebbe per lui neppure aut-aut; infatti insieme a Dio ‒ vale a dire, nel caso in cui la rappresentazione di Dio scompaia o si corrompa ‒ viene meno anche l’aut-aut. Ma come potrebbe capitargli questo nel silenzio presso il giglio e l’uccello? Dunque aut-aut: o Dio. E, come spiega il Vangelo, o amare Dio oppure odiarlo. Sì, quando c’è rumore intorno a te, quando sei sommerso dalle distrazioni, sembra quasi un’esagerazione, sembra esserci una distanza troppo grande tra l’amare e l’odiare perché si possa aver ragione nell’accostarli così tanto, in un solo respiro, in un unico pensiero, in due parole che si susseguono immediatamente senza proposizioni intermedie, senza incisi che creino un più stretto accordo, perfino senza il minimo segno di interpunzione. Ma come un corpo cade nel vuoto con velocità infinita, così il silenzio là fuori presso il giglio e l’uccello, quel silenzio solenne davanti a Dio, fa sì che questi due opposti si tocchino e si respingano nello stesso istante, nascendo anzi nello stesso istante: o amare o odiare. Come nel vuoto non c’è un terzo che ostacoli il corpo in caduta, così nel solenne silenzio davanti a Dio non c’è un terzo che possa tenere l’amare e l’odiare a una distanza che ne ostacoli il contatto.

O Dio. E, come spiega il Vangelo, o legarsi a lui oppure disprezzarlo. In compagnia degli uomini, in società, frequentando molta gente, sembra esserci una grande distanza tra il legarsi a qualcuno e il disprezzarlo. «Io non sento il bisogno di frequentare quella persona», si dice, «ma da questo non segue che la odi, in nessun modo». E così è anche con i tanti che si frequenta diffusamente in società con più o meno indifferenza, senza un essenziale coinvolgimento interiore. Ma, mano a mano che il numero diminuisce, mano a mano che diminuiscono per ampiezza le relazioni sociali, cioè, quanto più interiori diventano, tanto più la legge del rapporto comincia ad essere un aut-aut. E la relazione con Dio è incondizionatamente e nel senso più profondo non socievole. Prendi due amanti, un rapporto che pure non è socievole, proprio perché così intimo: per loro e per il loro rapporto vale: o legarsi l’uno all’altro o disprezzarsi. E ora, nel silenzio davanti a Dio, presso il giglio e l’uccello, dove dunque nessuno è presente, dove per te non c’è nessun altro rapporto se non quello con Dio, qui sì che vale: o legarsi a lui o disprezzarlo. Non ci sono scuse, perché nessun altro è presente così che tu possa legarti a lui senza disprezzare Dio, perché proprio là, nel silenzio, è palese quanto Dio ti sia vicino. I due amanti sono tra loro così vicini che l’uno, fin quando l’altro è in vita, non può senza disprezzarlo, legarsi a un altro: qui sta l’aut-aut del rapporto. Perché la presenza di questo aut-aut (o legarsi o disprezzare) dipende da quanto i due siano tra loro vicini. Ma Dio, che certo non muore, ti è ancora più vicino, infinitamente più vicino di quanto non lo siano tra loro due amanti, lui, il tuo creatore e sostentatore, lui, in cui vivi, ti muovi ed esisti, lui, dalla cui grazia ricevi ogni cosa. Dunque non è un’esagerazione questo o legarsi a Dio o disprezzarlo, non è come quando una persona pone un aut-aut per un’inezia, una persona di cui perciò si dice giustamente che è facile all’ira. Ma qui non è così. Infatti, da un lato Dio è pur sempre Dio. E dall’altro, non pone l’aut-aut su cose indifferenti, non dice: o una rosa o un tulipano. Ma lo pone su se stesso, dicendo: o me… o ti leghi a me e incondizionatamente in tutto, oppure mi disprezzi. E certo Dio non potrebbe parlare altrimenti di sé. Lo facesse, o potesse parlare di sé come se non fosse incondizionatamente il primo, come se non fosse l’unico, l’Incondizionato tutto, ma solo un qualcosa, uno che sperasse forse di trovare la sua parte di considerazione, allora Dio avrebbe perso se stesso, avrebbe perso la rappresentazione di sé e non sarebbe Dio.

Dunque nel silenzio presso il giglio e l’uccello c’è un aut-aut, o Dio… e va inteso così: o amare Dio oppure odiarlo, o legarsi a lui oppure disprezzarlo. Ma che cosa significa allora questo aut-aut, che cosa richiede Dio? Perché l’aut-aut è una richiesta, come gli amanti richiedo senza dubbio amore, quando l’uno pone all’altro un aut-aut. Ma Dio non si rapporta a te come amante, e neanche tu a lui. Il rapporto è un altro: della creatura con il creatore. Che cosa richiede egli con questo aut-aut? Richiede obbedienza, incondizionata obbedienza; se non sei obbediente in tutto incondizionatamente, non lo ami, e se non lo ami lo odi; se non sei obbediente in tutto incondizionatamente, non ti leghi a lui; oppure, se non ti leghi a lui incondizionatamente e in ogni cosa, non ti leghi a lui, e se non ti leghi a lui lo disprezzi. Questa obbedienza incondizionata – se non si ama Dio, lo si odia; se non ci si lega incondizionatamente e in ogni cosa a lui, lo si disprezza – questa obbedienza incondizionata la puoi imparare da quei maestri cui il Vangelo per questo rimanda: dal giglio e dall’uccello. Imparando a obbedire si impara a comandare, si dice, ma è ancora più certo che essendo obbedienti in prima persona si può insegnare l’obbedienza. Così è per il giglio e l’uccello. Non hanno alcun potere per costringere chi impara, come forza costrittiva hanno solo la propria obbedienza. Il giglio e l’uccello sono «gli obbedienti maestri». Non è una stranezza? «Obbediente» è la parola che si usa normalmente per il discepolo, a lui si richiede di essere obbediente; ma qui è il maestro stesso ad essere obbediente! E cosa si insegna? L’obbedienza. E in che modo insegna? Con l’obbedienza. Se potessi diventare obbediente come il giglio e l’uccello, allora anche tu potresti insegnare l’obbedienza con l’obbedienza. Ma poiché di certo né tu né io siamo così obbedienti, impariamo allora dal giglio e dall’uccello.

da «Il giglio nel Campo e l’uccello nel cielo; Tre discorsi di devozione» di Søren Kierkegaard